sabato, marzo 09, 2019

L’ARCHITETTURA CRISTIANA DELLA SOCIETA’, del Card. Carlo Caffarra




L’ARCHITETTURA CRISTIANA DELLA SOCIETA’
del Card. Carlo Caffarra
Catechesi ai giovani
14 dicembre 2002



Carissimi giovani, la catechesi di questa sera è la più importante di tutte, e quindi vi prego di prestarvi particolare attenzione. L’ho intitolata "l’architettura cristiana della società". Che cosa vuol dire, di che cosa parleremo?
Voi sapete bene che esistono vari stili architettonici: lo stile romanico, lo stile gotico, lo stile rinascimentale… che cosa è lo "stile architettonico"? è il modo con cui si costruisce un edificio, poniamo una Cattedrale, così che lo spazio creato genera nella persona che vi entra un senso di stupore e di gioia.
Paragoniamo la convivenza umana ad un edificio dentro al quale la persona entra quando nasce, dentro al quale trascorre la sua vita. Che "stile" deve avere questo edificio? In che modo la convivenza umana deve realizzarsi: la convivenza della nostra città, la convivenza della nostra nazione, della nostra Europa?
Noi rispondiamo: uno stile cristiano. E in che cosa consiste questo stile? Che cosa lo caratterizza? In base a che cosa posso dire: "questo modo di convivere è cristiano/ non è cristiano"? Nella catechesi di questa sera io cercherò di rispondere a questa domanda.
Prima però di cominciare a costruire la risposta, devo ancora una volta richiamare alla vostra memoria il fondamento di tutto il discorso che andiamo facendo. Esso è espresso da un testo mirabile del Vaticano II: "Lo stesso Verbo incarnato coll’essere partecipe della convivenza umana. … santificò le relazioni umane, innanzi tutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti sociali" [Cost. past. Gaudium et spes 32,2; EV 1/1419]. Anche questa sera stiamo parlando di Cristo, perché parliamo di quella "santificazione" delle relazioni umane, derivata dalla sua partecipazione alla nostra convivenza.
In sintesi allora la risposta alla domanda è la seguente: una società umana ha uno stile cristiano quando essa salvaguarda il primato della persona; è organizzata secondo il principio di sussidiarietà; è governata dalla legge della solidarietà. Cerchiamo ora di riflettere brevemente su ciascuno di questi tre "segni" dello stile cristiano, dedicando a ciascuno un punto della nostra catechesi.

1. PRIMATO DELLA PERSONA
E’ questo il lineamento più importante, quello che disegna veramente il volto cristiano di ogni società umana. Che cosa significa "primato della persona"? devo supporre che abbiate ben chiaro in mente che cosa è la persona umana: lo abbiamo già detto varie volte.
Primato della persona significa tre cose: (a) la persona è prima della società [priorità ontologica]; (b) la persona agisce liberamente e responsabilmente nei confronti della società [priorità operativa]; (c) la persona è fine a se stessa mentre la società è finalizzata alla persona [priorità finalistica].
  1. La società umana, ogni società umana, esiste perché due o più persone entrano in rapporto fra loro: si conoscono, si amano … La società umana è costituita dalle persone in quanto soggetti liberi e responsabili, in quanto capaci di relazionarsi con altre persone. Non è la razza, non è l’etnia, non è la classe sociale il primo fondamento della società: è la persona. Non è che la persona esista perché esiste la società, ma viceversa: la società esiste perché esiste la persona. La persona è prima della società: questo vuol dire primato ontologico della persona.
  2. Il primato operativo è facile da capire. La causa vera e quindi responsabile dell’agire di una persona non è la società in cui vive. E’ la persona che pensa, che vuole e che agisce di propria iniziativa e sulla propria responsabilità. Certamente, l’ambiente sociale può esercitare un influsso più o meno grande; ma se non è la persona stessa ad abdicare alla sua capacità propria di ragionare, alla sua libertà, nessuna società può prendere il suo posto.
  3. Il primato finalistico è in un certo senso la dimensione più importante del primato della persona. Ogni persona esiste in vista di uno scopo suo proprio che dà senso alla propria vista. Nella luce della fede cristiana questo scopo è costituito dalla comunione di vita con Cristo. Ciò che è importante da capire è che questo fine riguarda la realizzazione della persona in se stessa. Volendo usare un termine tecnico, potremmo dire: è un fine immanente nella stessa persona. Non è così della società. La società non ha un fine per se stessa: essa è ordinata al fine, cioè al bene della persona. La persona non esiste per la società, ma è la società che esiste per la persona.
Può essere che vi sembri un discorso molto astratto. Non è così: nel "laboratorio della fede" che faremo il 28 febbraio vedrete che non è così. Pensate solo ad una conseguenza che deriva dal primato ontologico, operativo e finalistico della persona: la società umana, ogni società umana, è una realtà prima di tutto spirituale. E’ cioè comunione interpersonale nella condivisione delle stesse verità e degli stessi valori. E’ prima di tutto comunione delle intelligenze che cercano la verità; delle volontà che superando la ricerca del proprio bene utile, si ritrovano nella ricerca del vero bene dell’umanità propria di ciascuno e comune a tutti; dell’affetto che accoglie ogni altro non come estraneo, ma come un altro se stesso; dell’agire che non vuole sfruttare nessuno, ma coopera con ciascuno per il bene di ogni persona.

2. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
E’ questo il principio strettamente connesso col primato della persona. Esso venne affermato per la prima volta, meglio esplicitamente formulato da un grande Papa, Pio XI [1922-1939], anche se nelle società cristiane è sempre stato un principio vissuto: "E’ illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che si può fare dalle comunità minori ed inferiori" [Lett. Enc. Quadragesimo anno; EE 5/661]. E questa è, per così dire, la formulazione negativa. Ascoltiamo ora la formulazione positiva: "oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle" [ib.]
Cerchiamo di capire bene questo principio, di fondamentale importanza per un edificio sociale veramente umano. Che cosa esso dice? Che la natura sociale della nostra persona si esprime e si realizza in tante società diverse: il matrimonio, la famiglia, l’impresa economica, lo Stato nelle sue varie articolazioni ... che rapporti devono esserci fra queste varie società? Come devono relazionarsi le une alle altre? Esse sono tutte soggetti sociali, aventi una propria autonomia e parità reciproca, in quanto aventi nature e competenze diverse. E ciò nonper benigna concessione di qualcuno, ma per il fatto stesso che in queste varie società si esprime la persona umana alla ricerca di beni umani fondamentali. Il principio di sussidiarietà esige ed assicura il carattere pluralistico della società umana.
Non solo, ma questi vari soggetti sociali devono essere ordinati fra loro in modo tale che nessuno si sostituisce all’altro, ma ci sia l’aiuto da parte della comunità superiore alle società inferiori perché possano raggiungere il loro scopo. Il principio di sussidiarietà esige ed assicura il carattere ordinato della società umana.
"In sintesi, secondo il principio di sussidiarietà: - si vuole favorire l’iniziativa e la responsabilità delle singole persone e dei gruppi sociali; - si nega che la comunità superiore possa impedire alle comunità inferiori di perseguire i loro fini legittimi; - si impone alla comunità superiore, quella politica, di aiutare positivamente le singole persone e le società intermedie; - si afferma il dovere di supplire le società inferiori in ciò che per motivi di impossibilità contingente non possono compiere; - si impone anche di integrare le persone e le società minori in ciò che queste, per impossibilità intrinseca, sono sproporzionate" [M. Toso, Umanesimo sociale, LAS – Roma 2001, pag. 61].
Può essere che anche questo vi sembri un discorso molto astratto. Vi aiuto a concretizzare con un solo esempio: nei laboratori della fede lo faremo meglio. Il dovere-diritto di educare compete ai genitori. Essi però hanno bisogno di essere aiutati nel compimento di questo loro grave dovere: un aiuto indispensabile è la scuola. Chi deve scegliere la scuola? E’ logico che siano coloro che hanno il dovere-diritto di educare: deve dunque essere loro assicurata una vera libertà di scelta. Questa è assicurata solo con una sistema di scuole libere, non di scuole gestite solo dallo Stato, un sistema misto, pubblico non statale. Questo pluralismo riguarda veramente l’assetto della società. Nel discorso al Parlamento italiano, il S. Padre ha detto: "Proprio per questo una Nazione sollecita del proprio futuro favorisce lo sviluppo della scuola in un sano clima di libertà, in stretta connessione con le famiglie e con tutte le componenti sociali" [n° 7,2].
Pensate ancora al grande tema del federalismo: ma entreremo nel concetto durante i laboratori della fede.

3. LA LEGGE DELLA SOLIDARIETA’
E’ questa l’ispirazione che governa e dirige la costruzione dell’edificio sociale nella sua architettura umana e cristiana. Forse la formulazione più suggestiva delle legge della solidarietà l’ha data il S. Padre in un suo scritto filosofico: "Questa dimensione si riduce al trattare, e per così dire al vivere, attualmente "l’altro come se stesso"" [cit. da Persona e atto, Rusconi Libri ed., Milano 2001, 728]. Ecco la definizione di solidarietà: trattare e vivere l’altro come se stesso. Nel cammino verso la piena realizzazione della propria umanità, verso la piena affermazione della propria dignità di persona, dobbiamo incontrare ed affermare ogni altro nella sua dignità di persona: appunto come ciascuno fa di se stesso. Non mi è lecito escludere da questa affermazione nessuno: neppure il bambino già concepito e non ancora nato; neppure l’ammalato terminale. Se voglio affermare me stesso. Ciò che non è lecito a me stesso [degradare la mia dignità di persona], non mi è lecito rispetto a nessun altro. Ciascuno può realizzare se stesso fino in fondo solo affermando la realizzazione di ogni altro che incontra: tutti insieme e ciascuno dentro a questa indistruttibile rete della solidarietà. Chi la spezza non fa del male all’altro ma a se stesso: l’omicida uccide se stesso perché nega con quell’atto la sua umanità.
Tocchiamo qui, carissimi giovani, il "midollo" dell’esperienza cristiana, quel midollo espresso dal concetto cristiano di prossimo. La persona umana non è solo capace di partecipare alle varie comunità in cui si esprime la sua natura sociale: di esistere e di agire "insieme con gli altri". E’ partecipe anche dell’umanità dell’altro. E’ questa partecipazione che rende l’uomo "prossimo" di ogni uomo, e la prossimità è prima e più che l’essere membro di una comunità particolare: è questo il grande insegnamento della parabola del samaritano.
La partecipazione nell’umanità dell’altro fa sì che non esista un mio bene che non sia anche il bene dell’altro, che ancor meno possa esistere un bene mio contro il bene dell’altro.
Questa prossimità raggiunge la sua pienezza nel mistero della Chiesa, la perfetta realizzazione della socialità umana in Cristo: ma con questo abbiamo terminato.

CONCLUSIONE
Forse potrà sembrarvi che questa catechesi vi porti fuori della realtà della società in cui vivete. Ciò è anche vero: la società in cui viviamo ha in larga misura perduto la sua architettura cristiana. Ma non vorrei che questo senso di estraneità vi inducesse in un errore: quello di pensare che l’architettura cristiana sia … un’utopia. Al contrario: la realtà vera è questa. L’altra è deformazione della realtà. E’ il compito dei discepoli del Signore di guarire la realtà da questa deformazione.







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