URGENZA DI RIQUALIFICAZIONE URBANA
E CARITA’ SOCIALE
a cura di Carlo Sarno
PREMESSA: “Come il buon Samaritano…”
Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre dall’altra parte. Anche un Levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». (Luca 10, 25-37)
“Le nuove povertà tipiche del nostro tempo, che esplodono con particolare intensità nella nostra struttura sociale, come l’insicurezza del lavoro e della casa, la solitudine e l’emarginazione, il disadattamento dovuto all’immigrazione interna ed estera, le forme di asocialità, le angosce esistenziali ci tengono continuamente sotto pressione, sferzano la nostra pigrizia, ci chiedono sempre nuovi interventi...” Card. Carlo Maria Martini, dalla lettera pastorale “Farsi prossimo”
“ Una comunità può essere vera e solidale solo se parte dai più poveri per vivere la condivisione con tutti e con ciascuno “
Dalla consapevolezza di ciò scaturisce la necessità di programmare progetti ed esperienze di carità concreta, di accoglienza e di pronto intervento per i senza dimora, per gli adulti in difficoltà senza casa, senza famiglia, senza lavoro che vivono agli angoli della nostra città, progetti che si legano all’esigenza sempre più pressante di educare e formare la comunità al senso della carità cristiana e all’esigenza di promuovere e sviluppare la cultura dell’accoglienza e della solidarietà .
Le povertà attuali nascono da incertezza, solitudine, insicurezza esistenziale anche connessa all'esperienza dei fenomeni di immigrazione, disagio psichico e materiale, alcolismo: per far fronte alle gravi contraddizioni che scaturiscono dalle aree urbane e dalle ricadute negative dei fenomeni della globalizzazione, “gli interventi sporadici e gli sforzi intermittenti non bastano più.”
Essere buoni samaritani nella società moderna significa promuovere una carità concreta, efficace, continuativa, centrata su interventi coordinati e sistematici, su risposte concrete di accoglienza, sul contributo personale e quotidiano di tutta la collettività che in questo modo torna ad essere comunità, che solo in questo suo “farsi prossimo”, nella vicinanza, nell’ascolto e nella condivisione del disagio altrui, ritrova tutta la propria vitalità e spiritualità.
La missione in tal senso consiste nell’educare e formare la comunità al senso della carità cristiana, promuovendo e testimoniando concretamente la cultura dell'accoglienza e della solidarietà. Attraverso iniziative di educazione, di formazione ed esperienze di accoglienza, la promozione di un'attenzione più vera ai bisogni dei più poveri e degli emarginati della città, cercando una soluzione ai problemi abitativi dei più poveri e indigenti, mettendo la carità al centro del proprio rapporto con il territorio e con la comunità e vedendo nella soluzione di questo problema uno dei fini principali della pianificazione economica e sociale.
RIQUALIFICAZIONE URBANA E CARITA’ SOCIALE :
un problema complesso e articolato
In Italia la grande (parola) riqualificazione che avrebbe dovuto sostituire la sola semplice mancanza di manutenzione in tutti questi anni, una mancanza questa - la semplice manutenzione - che ha determinato cumulativamente degrado edilizio, ha spesso e soprattutto accompagnato e determinato non la sostituzione fisica, ma quella sociale verso il basso e oltre una certa soglia dello stato di abbandono sociale.
Difatti, spesso l'obsolescenza della città o delle sue parti più soggette a degrado, è stata anche alimentata dalla frammentazione delle politiche di settore che hanno ignorato le sole e le più semplici pratiche della corretta manutenzione ed adeguamento del patrimonio edilizio esistente, ignari del passo delle dinamiche sociali e dell'evoluzione dei fatti urbani.
Nel centro storico il patrimonio residenziale è sottoposto a progressivo degrado, mentre i processi di esodo hanno impoverito gravemente il tessuto sociale: le attività produttive subiscono serie difficoltà, il costo della vita resta sensibilmente più elevato.
Nelle periferie urbane abbiamo invece la crescita delle nuove povertà accanto a quelle tradizionali, con marcati disagi abitativi, e la presenza aggiuntiva di popolazione non comunitaria, risultato dei recenti spostamenti migratori.
L'uso del patrimonio residenziale privato è normato da una legislazione recente e non ancora pienamente operante, che presumibilmente contribuirà a regolare in qualche misura, nei prossimi anni, il comparto dell'affitto (apportando maggiori certezze, più fluidità e più trasparenza) ma non risolverà il bisogno sociale della casa.
Le modeste dimensioni del patrimonio pubblico, d'altra parte, non consentiranno di uscire dalla situazione di emergenza che caratterizza ormai da tempo la situazione abitativa.
Negli anni novanta il calo demografico si mantiene pressoché costante. Il problema di fondo resta dunque l'indice di invecchiamento della popolazione. Due indicazioni prioritarie dunque emergono: privilegiare l'insediamento di giovani coppie in centro storico e elevare i livelli di protezione abitativa per le aree di estrema indigenza economica e sociale.
Le linee di fondo delle politiche abitative per i prossimi anni potrebbero essere fondate sui seguenti punti: facilitare l'insediamento dei giovani ; agire sugli alloggi vuoti e degradati con ogni mezzo per riportarli sul mercato dell'affitto; garantire il diritto alla casa alle famiglie sfrattate e all'emergenza sociale abitativa; attuare una politica di recupero e risanamento degli alloggi pubblici e privati con particolare riguardo al degrado del Centro Storico e delle periferie ; acquisire nuove case pubbliche .
Operativamente si conferma la priorità rappresentata dalla "questione sfratti", perciò una quota consistente del patrimonio pubblico sarà riservata alle famiglie che perdono la propria abitazione. Questo diritto alla casa sarà affermato e sarà operante su tutto il territorio comunale, ma nel centro storico, fin quando sarà possibile, sarà esteso anche a ceti sociali non indigenti.
Soddisfatto il bisogno abitativo conseguente agli sfratti, le assegnazioni di alloggi pubblici, per quanto consentito dalla normativa, saranno frutto di scelte mirate definite dal Comune.
Nel comparto privato il patrimonio residenziale ha ancora bisogno degli incentivi , con le seguenti priorità: dare risposta al degrado fisico del patrimonio edilizio, e reimmettere sul mercato delle compravendite e delle locazioni gli alloggi vuoti e degradati.
Facilitazioni particolari per l'accesso ai finanziamenti dovranno essere concesse ai proprietari che s'impegnano a ristrutturare alloggi vuoti e reimmetterli sul mercato a condizioni agevolate.
Ma il problema degli alloggi vuoti non si risolve agendo solo sul sistema delle convenienze e dei disincentivi a livello locale: occorre una normativa nazionale che rilanci i piani obbligatori di recupero e di riutilizzo degli alloggi vuoti in tutti centri storici
Le acquisizioni indiscriminate di nuovo patrimonio abitativo pubblico, come è noto, non risolvono da sole, i problemi abitativi: nei prossimi anni l'implementazione del patrimonio dovrà essere mirata e ragionata. Saranno comunque necessari acquisti immobiliari per rispondere principalmente agli sfratti e alle nuove povertà abitative. Nel centro storico invece saranno necessarie sia acquisizioni, sia azioni di recupero e di risanamento edilizio.
Questa azione di recupero e di risanamento dovrà essere intensificata nel patrimonio pubblico, superando definitivamente quell'impostazione di stampo novecentesco per cui le case pubbliche non possono che essere "trascurate e ghetti dei poveri". Già nel corso del passato decennio è stata più che decuplicata la spesa per le manutenzioni ordinarie e straordinarie. Occorrerà però non solo sacrificare quote del bilancio comunale, ma impegnare il governo nazionale a stanziare fondi consistenti per il recupero urbano del patrimonio residenziale pubblico.
E' chiaro comunque che la risposta al disagio abitativo non potrà venire esclusivamente dal comparto pubblico ma bisognerà coinvolgere il settore privato nelle politiche abitative dell'amministrazione , ad esempio, sia tramite accordi con la proprietà, sia promuovendo forme di sostegno all'affitto alle famiglie con contratto locativo privato.
Nei prossimi anni, in questo campo, gli sforzi dell'Amministrazione dovranno andare nella direzione del superamento della logica del "contributo" e per l'affermazione della logica del "diritto" all'integrazione dell'affitto, esteso a tutti i cittadini. E' un obiettivo che va realizzato per gradi, a cominciare dalle aree di povertà e di disagio più grave, e che necessariamente dovrà avere il concorso di consistenti risorse nazionali, nell'ambito di una ridefinizione dello stato sociale in Italia.
Per situazioni di fabbisogno abitativo di particolare e documentata rilevanza sociale si intendono quelle di particolare e grave pericolosità che comportino, in atto o potenzialmente, danni al singolo o al nucleo familiare.
A titolo esemplificativo, tali situazioni comprendono:
a) situazioni familiari moralmente degradanti o insostenibili, per l'assoluta impossibilità di convivenza, dovute alla presenza di malati di mente o di persone comunque alterate psichicamente.
b) situazioni relative a nuclei familiari senza tetto per cause diverse dallo sfratto o da quelle derivanti da situazioni che abbiano richiesto l'emanazione di ordinanze del Sindaco contingibili e urgenti come nei casi di separazione di fatto fra coniugi, quando uno di essi debba lasciare l'alloggio comune all'altro ovvero nei casi di collaboratori domestici soprattutto extracomunitari, che, dovendo cambiare lavoro, vengono improvvisamente a trovarsi privi di alloggio in quanto precedentemente ospitati dal datore di lavoro;
c) situazioni relative a nuclei in condizioni di "forte sovraffollamento" o grave antigienicità dell'alloggio (v. art. 7 - L.R. 28/90) che incidono gravemente sulla salute dei minori o anziani compresi nei nuclei medesimi;
d) situazioni di grave precarietà riguardanti ragazze madri, ex carcerati, ex tossicodipendenti, soggetti con patologie croniche invalidanti a prognosi infausta.
Il problema cruciale è oggi quello delle popolazioni “deboli” in situazioni di disagio abitativo e non in grado di accedere o di trovare coerenze con le normali/tradizionali offerte abitative. La storia delle politiche della casa mostra che una prospettiva quantitativa-espansiva (l'offerta di grandi quantità) ha regolarmente comportato un miglioramento delle condizioni degli “altri”, senza risolvere i problemi delle fasce deboli. Le implicazioni politiche della nozione di fabbisogno rischiano quindi di perpetuare questo approccio, negando i requisiti dell'innovazione che è imposta dalla presenza di aree di disagio/esclusione abitativa. Verrebbe ritardata la ricerca di politiche specifiche, differenziate, selettive. Occorrono comunque più sforzi, e più informazioni, per ricostruire organicamente la domanda abitativa sociale, il disagio e la povertà abitativa.
Ricerche, studi, dibattiti e discussioni sulla casa tendono ad organizzare la domanda di casa attraverso categorie che in qualche forma aiutino a mettere ordine in una questione incerta e confusa. Questa operazione è fondamentale se interessa capire di più prima di arrivare a conclusioni del tipo: servono più case/servono più soldi (per fare case, per pagare gli affitti troppo alti).
La domanda di casa è ad esempio composta da persone e famiglie che una casa già l’hanno e che possono trovarsi in difficoltà per ragioni economiche (a causa di un innalzamento del canone di locazione ma anche perché diventa necessario mobilizzare il capitale investito in un immobile di proprietà e ancora perché si desidera –o si è costretti a- abbandonare una situazione di affitto anche vantaggioso per sopravvenute difficoltà di convivenza o per inadeguatezza dell’alloggio).
Diversi sono i tipi di problema che costituiscono il bisogno. In via sintetica se ne possono riconoscere tre:
- problemi derivanti dall’onerosità dei costi abitativi: il costo come ostacolo all’accesso o come problema di mantenimento di una condizione abitativa acquisita (livello dei canoni, ‘tasso di sforzo’);
- problemi relativi alla qualità dell’abitazione, alla sua idoneità a soddisfare effettivamente il bisogno abitativo: degrado, presenza di impianti e servizi essenziali o importanti, accessibilità ecc.
- problemi di adeguatezza, relativi cioè al rapporto tra nucleo familiare e abitazione: coabitazione, affollamento, sicurezza.
Un secondo asse, in linea di principio indipendente dal precedente, riguarda i livelli di gravità del problema e i processi che ne sono alla base. Possiamo distinguere tre situazioni a partire dalle quali è possibile leggere ed interpretare la domanda da questo punto di vista:
- le situazioni di vulnerabilità e di rischio (in prevalenza prodotta da una debolezza/instabilità strutturale del nucleo associata alla ridotta disponibilità di risorse economiche);
- le situazioni di disagio abitativo in senso proprio, derivanti da sistemazioni abitative che, per ragioni diverse e in gradi diversi, risultano essere improprie, insoddisfacenti, insufficienti, pericolose, troppo costose ecc.;
- le situazioni di esclusione abitativa che caratterizzano coloro che si trovano senza casa, includendo in questa definizione sia i senza casa in senso letterale (chi dorme per strada, in macchina, in strutture di fortuna) sia coloro che dispongono di sistemazioni non propriamente abitative (strutture di accoglienza, forme di ospitalità temporanea…).
A questo si incrociano poi profili e categorie sociali diversamente rappresentati in ogni voce e non automaticamente riconducibili ad una soltanto di esse. Gli anziani soli, le famiglie numerose, gli immigrati stranieri, le giovani coppie, le famiglie monogenitoriali, i nuclei con disabili a carico e ancora gli studenti, gli infermieri, le forze dell’ordine. L’area delle tipologie di domanda sociale si estende in alcuni casi al punto da diventare discrezionale e arbitraria: non tutti gli anziani esprimono una domanda di casa e, tra quelli che la esprimono, non tutti chiedono la stessa cosa. Il problema di chi domanda va tenuto in relazione con quello del che cosa e del perché.
Infine un breve accenno al raccordo del problema casa con il mondo del lavoro e la necessità di ritrovare per i più poveri nuovi equilibri socio-economici.
In tal senso si dovrebbe intervenire su vari punti, qui ne richiamiamo solo alcuni :
· Definire e promuovere percorsi individualizzati di avvicinamento e di reinserimento nel mondo del lavoro per persone in difficoltà attraverso:
· l'ascolto della storia lavorativa, il sostegno nella ricostruzione delle competenze professionali presenti e potenziali, la condivisione del progetto;
· l'orientamento ai servizi, pubblici e privati, per l'inserimento sociale e lavorativo e alle agenzie di mediazione al lavoro;
· la proposta di percorsi di formazione e di riqualificazione professionale presso agenzie formative pubbliche e private;
· la proposta di strumenti di facilitazione al reinserimento lavorativo (tirocinio formativo, borse lavoro) presso i referenti istituzionali;
· la promozione di progetti di inserimento lavorativo con Agenzie di servizi formativi. Per quanto riguarda il disagio abitativo:
· aiutare le persone ad essere protagoniste nell' intraprendere un percorso di autonomia, contribuendo a regolarizzare situazioni di disagio abitativo dovute a gravi condizioni di morosità di alloggi pubblici o di proprietà privata;
· realizzare un progetto individuale in stretta collaborazione con la rete dei Servizi pubblici e del privato sociale quali le Comunità Parrocchiali, i Centri di Ascolto, i Gruppi di volontariato , i Sindacati degli inquilini, gli Operatori dei Servizi Sociali del Comune e delle ASL, i Patronati e tutte le Fondazioni che operano sul territorio.
CONCLUSIONE
L’esercizio costante della carità nella città significa risolvere la povertà di ogni giorno. La povertà nella nostra città ha un volto, un nome: persone che devono lavarsi, curarsi, mangiare, dormire, apprendere, difendersi….
Occorre offrire ai migranti, ai poveri ed agli emarginati una vasta gamma di interventi sul piano dell'assistenza sociale e della promozione umana del rispetto delle norme, dei diritti ma anche dei propri doveri.
Occorre tutelare il diritto per tutti ad abitare in case dignitose e salubri, in grado di favorire il sano sviluppo dell’individuo come persona che è in grado di dare il suo contributo allo sviluppo sociale ed economico della città.
Occorre lasciare alle nuove generazioni la capacità di realizzare spazi autorappresentativi, di riqualificare ambienti urbani degradati e abbandonati, di ideare luoghi urbani vitali e stimolanti, quali espressioni artistiche delle relazioni sociali innestate nello spirito di carità collettiva.
Tutto ciò significa per i cittadini occuparsi di quelle persone che sono chiamati "ultimi secondo il pensare umano ma che sono primi nella considerazione e amore di Dio" e che tale dovrebbero essere anche per noi tutti con vero spirito di solidarietà e fraternità universale.
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Fonti :