lunedì, settembre 26, 2022

Pia partecipazione e spazio liturgico, di Carlo Sarno

 

LA “PIA” PARTECIPAZIONE FONDAMENTO DELLO SPAZIO LITURGICO

-  Citazioni, annotazioni, riflessioni


di Carlo Sarno


“E' lo Spirito che edifica le pietre, non viceversa. Lo Spirito non è rimpiazzabile né con il denaro né con la storia. Dove non è lo Spirito a costruire, le pietre diventano mute. Dove lo Spirito non è vivo, non opera né anima, le cattedrali diventano musei, monumenti del passato, la cui bellezza rende tristi perché è morta.” CARD. JOSEPH RATZINGER , tratto da Opera Omnia XI, Teologia della liturgia, Ed. Vaticana, Città del Vaticano, 2011, pag.522.

 

La Costituzione del Concilio Vaticano II° sulla sacra liturgia: SACROSANCTUM CONCILIUM, richiama la nostra attenzione sulla “pia” partecipazione alla liturgia nel cap. II° art. 47/48, dove è scritto:

“Il sacrificio eucaristico è sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità.

La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli… partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente.”

 

Come favorire con la progettazione dell’edificio-chiesa la “pia” partecipazione dei fedeli alla sacra liturgia ?

Come suscitare e stimolare sentimenti di pietà ?

Queste note hanno come finalità di suggerire spunti di riflessione sulla questione.

Per sviluppare l’argomento citiamo alcune definizioni utili tratte dal Dizionario Garzanti:


EUCARISTIA (Eucarestia): sacramento delle chiese cristiane che rappresenta il sacrificio di Gesù Cristo, il pane (sotto forma di ostia) e il vino con cui viene celebrato questo sacramento, simboli del corpo e del sangue di Cristo. Il momento della messa in cui si celebra questo sacramento. Dal tardo lat. Eucharistia, dal gr. Eucharistia, composto da eu “bene” e un deriv. di charis-itas “grazia”; propr. “riconoscenza, gratitudine”.

MESSA: nella liturgia cattolica, rito in cui si rinnova il sacrificio del corpo e del sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, è offerto dal sacerdote a Dio sull’altare. Lat. Ecc. missa da mittere “mandare”, dalla formula finale latina del rito “ite, missa est” “andate, (l’offerta) è stata mandata”. (andate, l’offerta-sacrificio al Padre è stata inviata)

PIO:
animato da sentimenti di misericordia, da carità, da amore verso il prossimo;
anima pia: persona disposta ad aiutare gli altri;
le pie donne: secondo il Vangelo le donne che seguirono Cristo nella salita del Calvario e in particolare le tre Marie;
sinceramente osservante delle pratiche religiose, devoto, una donna pia, che rivela religiosità, un atteggiamento pio;
volto a fini di religione, sacro, consacrato, luoghi pii, quelli in cui si tiene il culto;
(lett.) mansueto, pacifico (pio bove – Carducci)
Sin.: pietoso, misericordioso, caritatevole, buono, amorevole; di persona religiosa: devoto, fedele, pietoso, credente, osservante, religioso; spec. Di luogo: sacro, consacrato, santo.

PIETA’:
sentimento di compassione, di partecipazione, suscitato dai dolori e dall’infelicità altrui;
opera di pietà: azione caritatevole,
avere pietà, sentire pietà, provare destare suscitare invocare… pietà di/per qualcuno;
nella teologia cattolica, uno dei sette doni dello Spirito Santo , che si manifesta in una vita di devozione;
pratiche di pietà: curare gli ammalati, visitare i carcerati, ecc. opere di misericordia spirituale e corporale;
(lett.) affetto, amore, pietà filiale;
sin.: misericordia, commiserazione, compassione, compatimento;
analog.: comprensione, partecipazione, carità, indulgenza, umanità, benevolenza, benignità;


Seguono ora alcune citazioni di riflessioni sull’argomento della “Pietà”



PIETA’
di A. Guerra

(tratto dal Dizionario sintetico di pastorale, Foristan – Tamayo)

La parola pietà è frequente nella Scrittura. Anzi, sembra che poche parole abbiano meritato un elogio così universale come quello che si legge in 1 Tm 4,8: « La pietà è utile a tutto » . Tuttavia, è altrettanto certo che sono in calo il nome e la fama della pietà: l'essere pii non sembra oggi una cosa molto lusinghiera. Cerchiamo di individuarne le cause e di rivalutarla cristianamente.
La pietà porta istintivamente a pensare al campo limitato del religioso, cioè, a ciò che dice rapporto con Dio. Gli uomini ed il mondo rimarrebbero al margine della pietà dell'uomo. Se fosse così, sarebbe molto difficile incontrare nel nostro mondo un'accoglienza normale. D'altra parte, la pietà fa pensare subito alle pratiche di pietà, un campo in cui il cristianesimo si è esageratamente aggrappato a formule, gesti e riferimenti. Non poche pratiche di pietà provocano derisione o compassione. Possiamo dire che fanno « pietà ».
Queste due impressioni, che possono essere sufficienti a molti cristiani, rendono difficile la pietà e allontanano da essa non pochi cristiani, che si sentono offesi se vengono chiamati pii.
Sembra che effettivamente la parola pietas latina abbia tenuto presente soltanto la relazione ascendente: il rapporto dell'uomo con la divinità. Era l'uomo che aveva da essere pio. La rivelazione, tanto dell'Antico quanto del Nuovo Testamento, contempla un Dio che è pietoso. Non solo, ma Dio è chiamato: « Dio di pietà » (Sal 86,15). La pietà di Dio è una pietà che si manifesta come atteggiamento di vicinanza all'uomo, di fronte alle necessità concrete. Una serie di parole formano il complesso della pietà di Dio verso gli uomini: amore, clemenza, misericordia, compassione, fedeltà...
Questa consapevolezza della pietà di Dio verso l'uomo suscitava in questi non solo come reazione la risposta di adesione al Dio pietoso, ma lo portava per prima cosa ad invocarlo come tale: « Pietà di me, Signore » (Sal 86,3). La domanda diventa così una preghiera fiduciosa nella pietà di Dio. Tutta l'invocazione dell'AT si concentra nel chiedere la venuta del Salvatore e questi è identificato con « il mistero della pietà (1 Tm 3,16). In questo mistero insondabile di pietà, è racchiuso l'atteggiamento di Dio verso l'uomo. È una descrizione migliore di qualsiasi altra dell'AT, in cui si ha il tipo di quello che ha da venire.
Non solo Cristo è collegato con la pietà di Dio, ma anche lo Spirito Santo. Sappiamo che la teologia insiste oggi più sul dono, che è lo Spirito Santo, che non sui doni dello Spirito Santo. La donazione del dono, dello Spirito, suscita in noi la reazione dinanzi alla pietà di Dio, una reazione che tutti pongono nell'accogliere Dio come padre degli uomini e principio della fraternità universale. È per mezzo dello Spirito che gridiamo: « Abbà! Padre! » (Rm 8,15).
La pietà assume così una dimensione trinitaria che la rende profondamente cristiana: il Padre manifesta la sua pietà soprattutto col mandare il Figlio suo. Lo Spirito del Figlio illumina l'oscurità dell'uomo perché percepisca il senso di questo atto del Padre e di tutto il suo atteggiamento pietoso.
La Chiesa, come anche ogni cristiano, realizza se stessa ad immagine della Trinità in ogni sua dimensione. Per questo, l'uomo non è pio soltanto perché si rivolge a Dio Padre con cuore di figlio nel Figlio, ma anche perché è pio di fronte agli altri, ai suoi fratelli. Probabilmente, non c'è da insistere, come si fa di solito, sul fatto che la pietà è fraterna perchè è paterna (uniti al Padre, siamo uniti anche con gli altri figli dello stesso Padre). Si deve soprattutto insistere sul fatto che la pietà suppone un essere e ha di fronte quello che non è o che non ha. Tutti gli uomini, di fronte agli altri uomini, sono ed hanno quello di cui gli altri hanno bisogno. In questa dimensione di essere e di avere, occorre chinarsi davanti a chi non è e non ha.
Questa dimensione discendente della pietà umana, ad immagine della pietà di Dio, che si incarna in atteggiamenti e doni (fino al punto che Dio Padre ci dona il Figlio suo), cambia profondamente il senso della pietà, relegando la pietà, sinonimo di devozione ad una accezione molto secondaria, che non può assolutamente divenire primaria, e nemmeno unica.
La pietà, come qualsiasi altro atteggiamento umano, deve incarnarsi in realizzazioni umane. Diversamente, cadremmo in un puro idealismo. Però, queste incarnazioni non possono stare al margine di qualsiasi nuova considerazione che venga fatta riguardo alla pietà.
Come si parla, giustamente, di un culto esistenziale (Rm 12,2), assieme ad un culto sacramentale, così dobbiamo parlare di una pietà esistenziale assieme ad una pietà devozionale (non mi arrischio a chiamarla sacramentale, anche se lo è). Dire che nella tradizione si è imposta la pietà rituale o devozionale su quella vitale o esistenziale non è esagerato: è una realtà. Ci deve essere un recupero della pietà esistenziale: ogni esistenza che si presta a condividere quello che è e quello che ha, fino al dono più prezioso, è un'esistenza pia che susciterà negli altri l'avvicinamento ai pii senza paura, ma con fiducia e serenità.
Per vivere la pietà, si può seguire questo duplice cammino: entrare nella pietà di Dio, che suscita la nostra pietà verso di Lui; cominciare con l'essere pii verso gli altri: questo ci porterà istintivamente verso Colui che dimostrò la sua pietà nel « mistero della pietà » (1 Tm 3,16).
Quando ci si è accinti a redimere le pratiche di pietà, non sembra che si sia tenuto conto di questo orientamento. Si è badato quasi unicamente al rapporto esterno con la liturgia. Non c'è stato grande interessse per altre dimensioni. Così è stato un pò dappertutto.

Bibliografia
Giovanni Paolo II, Enciclica « Dives in misericordia », 30.11.1980. Maritain J. e R., Vita di preghiera, liturgia e contemplazione, Ed. Borla, Roma, 1979. Sudbrack J., « PietàSpiritualità », in: Enciclopedia Teologica, Ed. Queriniana, Brescia, 1989, pp. 725‑731.





IL DONO DELLA PIETÀ
di Giuseppe Pollano


La pietà è un termine su cui non bisogna equivocare: è il rapporto religioso con Dio, poi diventa anche un sentimento tra noi. L’uomo pio è l’uomo che dà a Dio quello che è di Dio, l’empio”, il non pio è chi non dà a Dio quello che è di Dio: fede, speranza, amore. La pietà è il benefico influsso dello Spirito grazie al quale percepiamo sempre di più (è un crescendo) che Dio è Padre e il nostro rapporto con Lui si fa perciò sempre più filiale, come quello di Gesù. Dunque quando io dico “Dio Padre” lo dico tanto più sentendomi figlio, sentendolo Padre, e questo nome poco per volta acquista più spessore, più importanza; comincio a dirlo pensando bene a cosa vuol dire. La pietà ha in noi degli effetti molto belli.
GLI EFFETTI DELLA PIETÀ
La Pietà produce in noi confidenza e tenerezza filiali (Mt 6,25-32). Il discorso della montagna, dove Gesù ci parla del Padre provvidente che non solo si china su di noi, ma ha cura dei fiori, dei passeri, ci mette in questo clima di confidenza: Tu sei qui, allora Tu sei nostro Padre, ti curi di me.
Come saremmo sereni se ci ricordassimo che questo Padre si cura di noi anche nella prova. Quando tutto ci va abbastanza bene, non ci sono problemi; ma raramente nella vita tutto va abbastanza bene. Ed allora ecco la confidenza: mi fido di Te, Padre, so che Tu mi conduci.
Questo sentimento è troppo raro in noi perché, appartenendo ad una società piuttosto angosciata, siamo un po’ contagiati da paura e inquietudine. No, fidiamoci, Dio è buono, Dio è Padre.
Abbiamo bisogno, perché la vita è fatica, di coltivare questa pietà confidenziale, di credere che Dio è Padre.
La Pietà produce in noi gradimento nella preghiera (Sal 83,11). Si sta bene con questo Padre e allora la preghiera dà un po’ il senso di essere a casa. Come si sta bene nei tuoi atri, dice il Salmo. Si sta bene con Dio perché Lui ci accoglie a casa. La casa non è dove andremo dopo la morte: la casa è già adesso, Dio è con noi sempre, non siamo mai soli! Allora ci si abbandona facilmente a questo Padre: mi fido di Te. Gesù ha portato fino all’estremo l’abbandono, mentre stava per spirare sulla croce dicendo quell’ultima frase che descriveva tutta la sua vita di fiducia: Padre, nelle tue mani mi affido.
La Pietà produce in noi affettuoso e fiducioso abbandono (Rm 8,28). Figli di una cultura della paura, siamo tutti un po’ trepidanti. Non abbiamo umanamente torto, la vita è difficile, i rischi, le insidie sono frequenti, l’inganno purtroppo è molto diffuso. Allora ecco l’abbandono fiducioso, soprattutto di fronte alla sofferenza, che crea in noi tristezza o rivolta. La tristezza è passiva, ma la rivolta è attiva. Ribellarsi, insomma. L’abbandono va al di là di questo. Prima guardo Dio, poi guardo la vita, prima guardo il Padre, come faceva Gesù, e poi vivo la vita che Lui mi dà; non: prima guardo la vita e poi guardo Dio e vedo un po’ cosa succede.
“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, tutto coopera al bene per coloro che hanno una serenità che viene proprio dallo Spirito. Non che non soffrano, ma soffrono in un certo modo tanto da dire: mentre soffro tu mi insegni a vivere.
La Pietà produce in noi cura di tutto ciò che riguarda Dio (Lc 2,22-23), dalle cose più piccole a quelle più grandi, che implicano tutte la stessa missione: impegno per gli altri. Il donare agli altri che cos’è poi se non questo espandersi del cuore? Quante volte non faremmo per noi cose che facciamo per gli altri guardando a Lui? Se mi importa di Dio, mi dono agli altri, mi importa che Dio sia in quel cuore e allora faccio di tutto perché ci arrivi, spendo tempo, risorse, fatica: che sia contento Lui prima di tutto! Gesù è morto perché rendessimo contento il Padre.
La Pietà ci rende cordiali con il Signore e sofferenti a vedere tanta indifferenza: ci dispiace che gli uomini e le donne battezzati non ricordino che Dio è Padre; ci dispiace che abbiano il cuore così freddo; ci dispiace che lo insultino, non ci credano e si disperino. Si patisce, perché Dio merita ben altro.
La Pietà produce in noi senso vivo della Chiesa, gloria di Dio (Lc 10,16). Ci sono state epoche in cui la Chiesa era una struttura, una società molto rassicurante, anche gratificante, in fondo farsi prete poteva essere una condizione elevante dal punto di vista del ruolo sociale. Grazie a Dio siamo liberati da questo fardello; ciò non toglie che la Chiesa possa rimanere comunque un punto di riferimento umano. È pur sempre rassicurante essere Chiesa, ma se la prendi nel senso di un gruppo umano, diventa un nemico di altri gruppi umani. Infatti qualche volta, paradossalmente, si finisce per essere più attaccati alla Chiesa che a Gesù Cristo, tanto che per la Chiesa c’è anche chi insulta un altro, dimenticando il comandamento di Gesù di amare. Il rischio della Chiesa è non essere più capita come gloria di Dio, ma gloria di se stessa.
La pietà ci rende molto attenti a far sì che ci sia carità, trasparenza, bontà, tutte quelle che sono le virtù della Santa Chiesa di Dio. Ci rende attenti perché noi non cerchiamo solo la gloria di Dio, noi siamo gloria di Dio. Dio non si rivela per miracoli e per visioni private, ma attraverso l’icona del suo popolo che siamo noi. Per cui noi siamo veramente gloria di Dio in carne e ossa, visibile, tangibile. Allora è evidente che il mondo ha il diritto di prendersela con noi se ci comportiamo da mondani.
Lo Spirito ti sostiene, fai dunque in modo che la tua pietà, il tuo amare il Padre, sia tale che nella vita semplice chi ti vede sia quasi obbligato moralmente a risalire alla sorgente. La risorsa di Dio siamo noi. I santi hanno sempre fatto così e noi siamo stimolati a fare così. A ognuno di noi tocca questo dovere, e non siamo mai alla fine di questo cammino, ma sicuramente ci teniamo ad essere gloria di Dio, pur con i nostri tanti limiti, in modo che chi ci sente o ci incontra in qualche modo sia riferito a Lui, cioè non veda noi, ma Lui.
La Pietà produce in noi gioia nella condivisione delle cose divine (Sal 132). Si è buoni, si è dialogici, si è contenti di condividere nella pietà comune la gioia delle cose che vengono da Dio. Com’è bello che i fratelli stiano insieme.
Com’è bella la gioia di una liturgia: in quel momento siamo proprio a casa, siamo a casa con il Padre. Come è bello sempre, perché Lui c’è sempre, e questa presenza viva ci fa sentire insieme, vivi, più buoni, meglio disposti.
Quando veramente si vive la verità di quel che si vive, allora si è contenti anche di condividere le cose di Dio fuori dalla liturgia. Non è fare un lavoro qualunque lavorare per Dio, c’è una gioia speciale, c’è un’intesa profonda, sentiamo di star facendo qualcosa che ci supera anche se è la più piccola, modesta, umile cosa. Questo fa respirare l’anima. E ad un certo punto non si riesce a far più niente che non abbia questo tono, anche le piccole cose, anche le cose normalissime; perché stiamo condividendo nella pietà il senso di Dio. Il rapporto con Dio veramente ben vissuto diventa la vita.




I doni dello Spirito Santo: 6. La Pietà
PAPA FRANCESCO

Udienza Generale, Mercoledì, 4 giugno 2014

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Oggi vogliamo soffermarci su un dono dello Spirito Santo che tante volte viene frainteso o considerato in modo superficiale, e invece tocca nel cuore la nostra identità e la nostra vita cristiana: si tratta del dono della pietà.
Bisogna chiarire subito che questo dono non si identifica con l’avere compassione di qualcuno, avere pietà del prossimo, ma indica la nostra appartenenza a Dio e il nostro legame profondo con Lui, un legame che dà senso a tutta la nostra vita e che ci mantiene saldi, in comunione con Lui, anche nei momenti più difficili e travagliati.
1. Questo legame col Signore non va inteso come un dovere o un’imposizione. È un legame che viene da dentro. Si tratta di una relazione vissuta col cuore: è la nostra amicizia con Dio, donataci da Gesù, un’amicizia che cambia la nostra vita e ci riempie di entusiasmo, di gioia. Per questo, il dono della pietà suscita in noi innanzitutto la gratitudine e la lode. È questo infatti il motivo e il senso più autentico del nostro culto e della nostra adorazione. Quando lo Spirito Santo ci fa percepire la presenza del Signore e tutto il suo amore per noi, ci riscalda il cuore e ci muove quasi naturalmente alla preghiera e alla celebrazione. Pietà, dunque, è sinonimo di autentico spirito religioso, di confidenza filiale con Dio, di quella capacità di pregarlo con amore e semplicità che è propria delle persone umili di cuore.
2. Se il dono della pietà ci fa crescere nella relazione e nella comunione con Dio e ci porta a vivere come suoi figli, nello stesso tempo ci aiuta a riversare questo amore anche sugli altri e a riconoscerli come fratelli. E allora sì che saremo mossi da sentimenti di pietà – non di pietismo! – nei confronti di chi ci sta accanto e di coloro che incontriamo ogni giorno. Perché dico non di pietismo? Perché alcuni pensano che avere pietà è chiudere gli occhi, fare una faccia da immaginetta, far finta di essere come un santo. In piemontese noi diciamo: fare la “mugna quacia”. Questo non è il dono della pietà. Il dono della pietà significa essere davvero capaci di gioire con chi è nella gioia, di piangere con chi piange, di stare vicini a chi è solo o angosciato, di correggere chi è nell’errore, di consolare chi è afflitto, di accogliere e soccorrere chi è nel bisogno. C'è un rapporto molto stretto fra il dono della pietà e la mitezza. Il dono della pietà che ci dà lo Spirito Santo ci fa miti, ci fa tranquilli, pazienti, in pace con Dio, al servizio degli altri con mitezza.
Cari amici, nella Lettera ai Romani l’apostolo Paolo afferma: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,14-15). Chiediamo al Signore che il dono del suo Spirito possa vincere il nostro timore, le nostre incertezze, anche il nostro spirito inquieto, impaziente, e possa renderci testimoni gioiosi di Dio e del suo amore, adorando il Signore in verità e anche nel servizio del prossimo con mitezza e col sorriso che sempre lo Spirito Santo ci dà nella gioia. Che lo Spirito Santo dia a tutti noi questo dono di pietà.

 

 

AFFETTIVITA', COMPASSIONE E “PIA” PARTECIPAZIONE

Dopo tutte queste annotazioni che approfondiscono una riflessione sul significato di vivere la pietà come prezioso dono dello Spirito Santo, possiamo ora pervenire ad alcune considerazioni sull’argomento della pia partecipazione nell’azione liturgica.

L'architettura cristiana deve tener conto dell'affettività come forma di comunicazione espressiva per trasmettere l'incontro fra Dio e l'uomo che avviene nella liturgia, nella preghiera, e nell'espressione della vita cristiana come testimonianza in Spirito e Verità.

L'affettività innestata nella pietà cristiana apre il cuore dell'uomo alla compassione cristiana e alla pia partecipazione alla liturgia.

“...Il sentimento è una forma di comunicazione espressiva che consente una piena adesione a Cristo, alla persona di Dio. L'affettività integra l'incontro fra Dio e l'uomo. La coscienza affettiva si esteriorizza in tutta la sua portata attraverso il corpo non considerato come strumento dei sentimenti, bensì come la manifestazione visibile del sentimento. Tutto l'uomo, coscienza incarnata, si apre al mondo grazie al sentimento...” (tratto dall'articolo Principi fondamentali per una teologia spirituale rinnovata, l'esempio di Ch. A. Bernard, di Francesco Asti).

 

ARTE E ARCHITETTURA CRISTIANA COME AFFETTIVITA'

L'arte e l’architettura rappresentano l'amore attraverso le relazioni affettive. L'affettività è il campo specifico dell'arte cristiana, unione di spirito e corpo, forma e materia.

Storia del cristianesimo e storia dell’arte si intrecciano nello spazio e nel tempo in maniera articolata e diversificata riflettendo il pio sentimento di affetto che scaturisce dall’incontro dell’uomo con Gesù, la Parola del Dio Vivente.

Oggi in una civiltà sempre più virtuale diviene essenziale approfondire nell'arte e nell’architettura il campo dell'affettività e della pia partecipazione liturgica.

L'arte e l’architettura cristiana devono ricercare nell'ambito della essenza della affettività e confrontarsi con la relazione affettiva perfetta dell'Amore Trinitario che conduce alla vera pietà, bellezza e armonia.

 


LITURGIA COME TEOPATIA E “PIA” PARTECIPAZIONE


Nella Costituzione del Concilio Vaticano II° sulla sacra liturgia: SACROSANCTUM CONCILIUM, è scritto:

“Il sacrificio eucaristico è sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità. La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli… partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente.”

 

TEOLOGIA – TEOFANIA – TEOPATIA

Padre Amedeo Cencini ha parlato di tre modalità di sviluppare la propria vocazione, di avvicinamento a Dio e alla liturgia.

Con la conoscenza, consapevolezza abbiamo una sintonia con Dio, un approccio teologico.

Con l’azione attiva, le opere, abbiamo una teofania, una sinfonia con Dio, ma avviene come esperienza temporanea.

Con la teopatia, intesa come sapienza-simpatia, abbiamo lo stile di vita trinitario, significa entrare in piena uniformità con la passione di Dio, stessi sentimenti di Dio, passione per la relazione del prossimo, soffrire e gioire come Dio, essere conformi a Cristo, libertà di amare/soffrire/gioire con Dio, pietà cristiana.

 

Riassumendo, per una efficace liturgia è richiesta una partecipazione :

CONSAPEVOLE, ATTIVA E PIA

 

CONSAPEVOLE – teologia – sintonia – conoscenza

ATTIVA – teofania – sinfonia – esperienza temporanea (ogni tanto)

PIA – teopatia – simpatia – stile di vita trinitario

 

PIA – PIENA – FRUTTUOSA ------ PARTECIPAZIONE  significa:

Penetrare il senso dei sacri riti e prendervi parte con tutto il proprio animo in uno stile di vita trinitario, mediante la celebrazione stessa dei sacri misteri e altre pratiche di pietà imbevute di spirito liturgico e mediante uno spazio liturgico affettivo impregnato di teopatia e sincera pietà.

 

Concludo con una citazione di Mons. Renato Corti – Vescovo di Novara sulla necessità di testimoniare piamente e credibilmente Gesù Cristo:

“Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro “vedere” (Novo millennio ineunte,16).
Gesù non è un ricordo, un bell’esempio, ma è la presenza che ci salva.
I santi sono le opere d’arte dello Spirito Santo, uomini e donne che rappresentano il volto di Cristo al vivo. La Chiesa ha urgente bisogno di ripresentare la vita dei santi; di quelli che sono sul calendario e di quelli che vivono in mezzo a noi. E’ stata un’ingenuità colpevole lasciar cadere la conoscenza della vita dei santi non comprendendo così il metodo dell’avvenimento cristiano: l’incarnazione di Cristo.
Sono persuaso che la Chiesa ha bisogno di testimoni, di padri spirituali, di comunità fraterne, di una liturgia bella e semplice e di rileggere le beatitudini.”




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