sabato, aprile 05, 2025

I 7 PRINCIPI DELL ‘ hashtag#ArchitettoALGORETICO, di Giuseppe Maria Jonghi Lavarini


I 7 PRINCIPI DELL ‘ hashtag#ArchitettoALGORETICO

di Giuseppe Maria Jonghi Lavarini


 


Nel tempo dell’intelligenza artificiale e della progettazione algoritmica, l’architettura è chiamata a una nuova responsabilità: custodire la dignità umana e il senso del limite in un mondo che rischia di affidare tutto al calcolo.

L’architetto cattolico non è solo un progettista, ma un testimone del bene comune, un custode del creato e un artigiano della speranza.
La tecnologia è uno strumento potente, ma l’etica è la bussola che orienta il progetto verso il servizio dell’uomo e non della tecnica. 





I 7 PRINCIPI DELL ‘ hashtag#ArchitettoALGORETICO

#1 Persona al hashtag#centro
“L’architettura è per l’uomo, non per la macchina.”
Ogni algoritmo, ogni software, ogni automatismo deve essere al hashtag#servizio della vita umana.
L’abitare è un’esperienza hashtag#spirituale prima che funzionale.

#2. Bene comune e inclusione
“Progettare è un atto politico e hashtag#morale.”
L’IA deve aiutare a colmare le disuguaglianze, non ad accentuarle.
L’architettura è giusta quando è accessibile, partecipata e hashtag#solidale.

#3. hashtag#Consapevolezza tecnologica
“Comprendere per governare.”
L’architetto usa l’IA con spirito critico e conoscenza profonda.
Ogni algoritmo contiene una visione del mondo:
occorre vigilare su quale.

#4  hashtag#Ecologia integrale
“Costruire è hashtag#custodire.”
Ogni progetto deve rispettare l’equilibrio
tra ambiente, cultura, società e spiritualità,
secondo i principi della hashtag#Laudatosi’.

#5  hashtag#Bellezza come via alla trascendenza
“La bellezza non è un lusso, ma un hashtag#linguaggio di Dio.”
Anche con l’IA, l’architetto è artista e profeta.
Progetta spazi che parlano al hashtag#cuore, elevano l’anima, custodiscono il mistero.

#6. Dialogo e comunità
“L’architetto non costruisce da solo.”
implica un hashtag#dialogo tra discipline, popoli e generazioni.
Il progetto nasce dall’ascolto e cresce nella relazione.

#7 hashtag#Memoria e futuro
“Ogni spazio è una parola nel tempo.”
L’architetto è hashtag#ponte tra radici e visioni.
L’hashtag#IA può guardare al futuro, ma è l’uomo che ricorda, custodisce e spera.




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Per approfondimenti su etica, bioetica e tecnologia vai al sito di p. Paolo Benanti sull'intelligenza artificiale e Algoretica   www.paolobenanti.com/

Nota: La parola hashtag è composta da (hash), che indica il simbolo del cancelletto (#), e da (tag), che possiamo tradurre come etichetta, targhetta , cartellino, codice di identificazione o qualsiasi altra cosa che sia (attaccata) ad un'altra per contrassegnarla in modo specifico.
Un hashtag è un tipo di tag metadato utilizzato su alcuni servizi web e social network come aggregatore tematico, la cui funzione è di rendere più facile per gli utenti trovare messaggi su un tema o contenuto specifico. Il termine hashtag può anche fare riferimento al simbolo cancelletto stesso, quando usato nel contesto di un hashtag.
L'hashtag, in un servizio che lo supporta, può essere creato da un utente inserendo il carattere cancelletto # davanti a una parola o a una frase del testo principale di un messaggio. La parola può essere composta da lettere, cifre e trattini bassi; non sono permessi spazi e caratteri speciali. La ricerca di un hashtag restituisce tutti i messaggi che sono stati etichettati con esso. (definizione tratta da Wikipedia) 

sabato, marzo 29, 2025

Augustus Pugin (1812-1852), di Paolo Risso


Augustus Pugin (1812-1852)
architettura neogotica come espressione della verità e bellezza di Dio


di Paolo Risso

 
Di origini anglicane, si rivelò presto un prodigio dell’arte e sarà il suo stesso genio e amore alla bellezza a condurlo sulla via di una sincera conversione alla Chiesa Cattolica. Scoperte le meraviglie dell’arte e della Liturgia cattolica, intuisce che lì soltanto risiede la Verità.

St Giles Church (1841-46), di Augustus Pugin

Suo padre era un aristocratico francese emigrato in Inghilterra durante la rivoluzione del 1789 e si era stabilito a Bloomsbury, regione centrale di Londra. Lì si era sposato e lì il 1° marzo 1812 gli nacque un bimbo bello e vivace che chiamò con il nome imperiale di Augustus. Ecco ora l’Inghilterra, pur non sapendolo ancora, aveva un genietto in più: Augustus Welby Northmore Pugin.

Affascinato dalla bellezza

Fu educato come anglicano e protestante in senso stretto. Presto la sua formazione fu segnata da una serie di pregiudizi contro la Chiesa Cattolica, vista come autoritaria e oscurantista e cordialmente disprezzata. Ma fin da ragazzo rivelò una passione per cui Dio sarebbe passato nella sua anima, in fondo retta e desiderosa di Verità. La sua passione era l’arte, la bellezza, anche appresa da suo padre, rinomato illustratore e teorico dell’architettura medioevale.

Cominciò a studiare arte e rivelò un singolare talento. A soli 19 anni già aveva importanti incarichi di lavoro come il disegno di mobili e pezzi decorativi per il castello di Windsor, residenza della casa reale britannica. Impegnandosi nello studio dell’architettura antica, si imbatté in un campo nuovo e per lui inesplorato di riflessioni: la Liturgia cattolica.

Quelle chiese di coloro che per disprezzo erano chiamati “i papisti”, erano edificate per rendere culto e adorazione a Dio e conservare nel dovuto onore la divina reale presenza di Gesù nella Santissima Eucaristia. Tutto quanto i cattolici avevano fatto e continuavano a fare nelle loro chiese era per Gesù, adorato, celebrato, ripresentato in Sacrificio al Padre.

«Con piacere – scriverà Pugin – ho iniziato a scrutare ogni parte di quei gloriosi edifici costruiti per le celebrazioni liturgiche! Allora ho scoperto che le cerimonie liturgiche alle quali ero solito assistere nell’anglicanesimo erano soltanto un residuo freddo e senza cuore di quelle glorie passate. E le preghiere che nella mia ignoranza avevo attribuito alla pietà della riforma anglicana, erano solo frammenti estratti dai riti solenni e perfetti della Chiesa Cattolica [...] In opposizione a tutto ciò, ho osservato la Chiesa Cattolica, che esiste con la successione apostolica ininterrotta, che trasmette da sempre la stessa fede, gli stessi Sacramenti e le cerimonie immutabili, inalterate in tutti i climi, lingue e nazioni».

Tra il 1832 e il ’34 viaggiò per diversi Paesi, per conoscere i principali edifici gotici d’Europa. A Norimberga la chiesa di San Lorenzo lo catturò in modo speciale: all’ingresso rimase avvinto dalla sua magnificenza e dall’esemplarità del gotico tedesco. Si soffermò a contemplare le esili colonne, le vetrate, l’altare maggiore e anche gli altari laterali. Quindi il suo sguardo si fissò sull’immensa ghirlanda di fiori dorati appesa sul presbiterio. Al centro fissò la statua della Madonna nell’atto di ricevere dall’Arcangelo Gabriele l’annuncio della sua divina Maternità.

Così confidò ad un amico, subito dopo: «Io potrei proprio fare mie le parole di Simeone: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto il Salvatore” (Lc 2,29-30)». Ma, andando nelle chiese gotiche, Pugin, sempre più spesso si fermava ad assistere alla Liturgia cattolica e ogni giorno aumentava il suo incanto, sentendo quasi fisicamente il fascino che ne emanava.

«Chi aveva un modo così sublime di pregare e di adorare Dio – pensava – dev’essere nella Verità, la Verità del modo più divino di credere in Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo». Così, come ebbe a dire, «non resistetti a lungo alla forza irresistibile della Verità». Gli stava succedendo che la lex orandi (la regola del pregare) stava per portarlo alla vera lex credendi (la regola del credere).

St Giles Church (1841-46), di Augustus Pugin

Cattolico e romano

Aveva poco più di vent’anni, Pugin, ed era già noto persino al palazzo reale di Londra per il suo talento artistico. Ma lui ora diventava segnato e attirato sempre di più da Gesù Cristo e dalla sua Santa Chiesa Cattolica, che emulava gli Angeli nella preghiera, nella preghiera liturgica, nell’arte in cui racchiudeva la sua venerabile divina Liturgia.

«Per più di 3 anni – spiega – ho proseguito con tutta sincerità nello studio di questo così importante argomento, e la forza irresistibile della Verità penetrò nel mio cuore. Ho sottoposto volentieri il mio giudizio fallibile alle decisioni infallibili della Chiesa Cattolica, e abbracciando con mente e cuore la sua fede e la sua disciplina, sono diventato un suo umile ma vero membro fedele». A 24 anni, nel 1836, Augustus Pugin abiurò l’anglicanesimo e diventò cattolico, apostolico e romano.

Spiegherà: «Ho appreso la Verità della Chiesa Cattolica nelle cripte delle antiche chiese e cattedrali europee. Avevo cercato un tempo la verità nella moderna chiesa anglicana e ora ho scoperto che, dal momento in cui si è separata dal centro dell’unità cattolica, aveva poca verità e nessuna vita. Chi è separato dalla Chiesa Cattolica, è separato da Cristo ed è un ramo tagliato dalla vite, destinato a seccare. In questo modo e senza aver conosciuto un solo sacerdote, aiutato solo dalla grazia di Dio e dalla bellezza sovrumana dell’arte e della Liturgia cattolica, ho deciso di entrare nella sua unica vera Chiesa».

Dal quel momento, Pugin consacra la sua arte al servizio della Chiesa, perché ormai non c’era più per lui alcuna distinzione “tra la sua fede e la sua arte”. Il suo talento artistico apparve ancora superiore, quasi un prodigio, nelle cattedrali cattoliche di Birmingham (Inghilterra) e Enniscorthy (Irlanda), in chiese come quella di Saint Gilles a Cheadle (Inghilterra) ma anche nella progettazione di altari e arredi sacri.

Il suo biografo B. Ferrey scrive che di questo architetto si può dire come Davide profetizzò di Gesù: «Lo zelo per la tua casa mi divora» (Sal 69,10), tanto era animato dal desiderio di rivestire di bellezza e di splendore la casa di Dio. Allo stesso modo, egli desiderava con ardore che la Santa Messa e tutte le celebrazioni della Chiesa fossero realizzate a pompa e fulgore, perché per Dio e il Figlio suo Gesù Cristo, il Re dei re, e il Dominatore dei dominanti, nulla deve essere sciatto, ma tutto deve proclamare la sua grandezza e la sua regalità.

Per questo dona ricchi paramenti di porpora e oro per la Messa d’inaugurazione della chiesa di Santa Maria a Derby, e scrive libri su Liturgia e architettura, diventando uno dei più influenti esperti dell’architettura inglese del XIX secolo. A 25 anni, nel 1837, era già nominato professore di Storia della Chiesa a Scott. Nella sua opera principale, dal titolo Contrasti, segna un confronto tra le costruzioni medioevali e gli edifici eretti nel suo tempo e indica decisamente la superiorità delle prime. Impoverendo la fede, si impoverisce anche l’arte e purtroppo anche la Liturgia. Che cosa direbbe oggi?

St Giles Church (1841-46), di Augustus Pugin

“La morte è solo un viaggio”

Il 16 ottobre 1834, un incendio immane distrusse quasi tutto l’antico palazzo di Westminster, risalente all’XI secolo. La ricostruzione impiegò diversi anni e nel 1850 mancava ancora il progetto della grande Torre dell’Orologio. Augustus Pugin ora, a soli 38 anni, si trovava gravemente infermo, ma sir Charles Barry decise ugualmente di affidargli il disegno di quest’opera. Pugin accettò dicendo: «Fin tanto abbiamo fiato, dobbiamo lavorare per la buona causa».

Si impegnò al massimo, raccogliendo le sue ultime forze, e sorse grazie a lui, l’imponente Torre del Big Ben, come è più comunemente conosciuta con il suo più famoso orologio del mondo, simbolo della puntualità britannica.

Ma ora lui, appena 40enne, si preparava ad andare incontro a Gesù, che aveva scoperto nell’arte medioevale, tutta un inno alla sua gloria, e ancora di più nella santa divina Liturgia della Chiesa Cattolica, in cui aveva sentito la presenza di Gesù Sacerdote e Ostia e l’esercizio perenne del suo Sacerdozio che non tramonta. Spesso, contemplando le cattedrali e studiando i testi della Liturgia, Pugin aveva meditato sul mirabile duello della vita e della morte, scoprendo con gioia la vittoria del Cristo Crocifisso e risorto: «Victor quia victima», vincitore perché vittima del suo sacrificio.

Ora questa battaglia la vedeva ingaggiata nel suo stesso corpo, convinto però che avrebbe vinto Gesù e lui insieme. Ai suoi cari diceva in quei giorni: «Ho imparato ad amare Gesù Cristo in tale maniera che la morte non ha più per me niente di terribile ai miei occhi. Mi sento rassegnato come se dovessi fare un viaggio». Con questa certezza, ricevuti tutti i Sacramenti, il suo viaggio terreno si concluse il 14 settembre 1852, festa dell’Esaltazione della Croce, nell’incontro con il Volto di Cristo, contemplato ora, non solo negli affreschi dei geni pittorici più alti, ma faccia a faccia, così come Egli è.



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Nota: 
Ubicata nella parrocchia di Cheadle, Staffordshire, St Giles è considerata la più bella tra tutte le chiese costruite dal celebre architetto e progettista del diciannovesimo secolo, AWN Pugin. Fu finanziata da John Talbot (1791-1852), 16° conte di Shrewsbury, che viveva nelle vicinanze ad Alton Towers. Iniziata nel 1841 e completata nel 1846, St Giles è di importanza unica nella storia del Gothic e del Catholic Revival. Dominando la città di Cheadle, la guglia alta 200 piedi che punta verso il cielo è visibile per miglia intorno. Ai piedi della torre ci sono le porte occidentali, elaborate con due leoni rampanti.

domenica, marzo 16, 2025

Papa BENEDETTO XVI, La Cattedrale dall'architettura romanica a quella gotica, il retroterra teologico


Papa BENEDETTO XVI
 
La Cattedrale dall'architettura romanica a quella gotica, 
il retroterra teologico

UDIENZA GENERALE, Aula Paolo VI, Mercoledì, 18 novembre 2009



Cari fratelli e sorelle!

Nelle catechesi delle scorse settimane ho presentato alcuni aspetti della teologia medievale. Ma la fede cristiana, profondamente radicata negli uomini e nelle donne di quei secoli, non diede origine soltanto a capolavori della letteratura teologica, del pensiero e della fede. Essa ispirò anche una delle creazioni artistiche più elevate della civiltà universale: le cattedrali, vera gloria del Medioevo cristiano. Infatti, per circa tre secoli, a partire dal principio del secolo XI si assistette in Europa a un fervore artistico straordinario. Un antico cronista descrive così l’entusiasmo e la laboriosità di quel tempo: “Accadde che in tutto il mondo, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si incominciasse a ricostruire le chiese, sebbene molte, per essere ancora in buone condizioni, non avessero bisogno di tale restaurazione. Era come una gara tra un popolo e l’altro; si sarebbe creduto che il mondo, scuotendosi di dosso i vecchi cenci, volesse rivestirsi dappertutto della bianca veste di nuove chiese. Insomma, quasi tutte le chiese cattedrali, un gran numero di chiese monastiche, e perfino oratori di villaggio, furono allora restaurati dai fedeli” (Rodolfo il Glabro, Historiarum 3,4).

Cattedrale di Modena in stile romanico

Vari fattori contribuirono a questa rinascita dell’architettura religiosa. Anzitutto, condizioni storiche più favorevoli, come una maggiore sicurezza politica, accompagnata da un costante aumento della popolazione e dal progressivo sviluppo delle città, degli scambi e della ricchezza. Inoltre, gli architetti individuavano soluzioni tecniche sempre più elaborate per aumentare le dimensioni degli edifici, assicurandone allo stesso tempo la saldezza e la maestosità. Fu però principalmente grazie all’ardore e allo zelo spirituale del monachesimo in piena espansione che vennero innalzate chiese abbaziali, dove la liturgia poteva essere celebrata con dignità e solennità, e i fedeli potevano sostare in preghiera, attratti dalla venerazione delle reliquie dei santi, mèta di incessanti pellegrinaggi. Nacquero così le chiese e le cattedrali romaniche, caratterizzate dallo sviluppo longitudinale, in lunghezza, delle navate per accogliere numerosi fedeli; chiese molto solide, con muri spessi, volte in pietra e linee semplici ed essenziali. Una novità è rappresentata dall’introduzione delle sculture. Essendo le chiese romaniche il luogo della preghiera monastica e del culto dei fedeli, gli scultori, più che preoccuparsi della perfezione tecnica, curarono soprattutto la finalità educativa. Poiché bisognava suscitare nelle anime impressioni forti, sentimenti che potessero incitare a fuggire il vizio, il male, e a praticare la virtù, il bene, il tema ricorrente era la rappresentazione di Cristo come giudice universale, circondato dai personaggi dell’Apocalisse. Sono in genere i portali delle chiese romaniche a offrire questa raffigurazione, per sottolineare che Cristo è la Porta che conduce al Cielo. I fedeli, oltrepassando la soglia dell’edificio sacro, entrano in un tempo e in uno spazio differenti da quelli della vita ordinaria. Oltre il portale della chiesa, i credenti in Cristo, sovrano, giusto e misericordioso, nell’intenzione degli artisti potevano gustare un anticipo della beatitudine eterna nella celebrazione della liturgia e negli atti di pietà svolti all’interno dell’edificio sacro.

Cattedrale di Amiens in stile gotico

Nel secoli XII e XIII, a partire dal nord della Francia, si diffuse un altro tipo di architettura nella costruzione degli edifici sacri, quella gotica, con due caratteristiche nuove rispetto al romanico, e cioè lo slancio verticale e la luminosità. Le cattedrali gotiche mostravano una sintesi di fede e di arte armoniosamente espressa attraverso il linguaggio universale e affascinante della bellezza, che ancor oggi suscita stupore. Grazie all’introduzione delle volte a sesto acuto, che poggiavano su robusti pilastri, fu possibile innalzarne notevolmente l’altezza. Lo slancio verso l’alto voleva invitare alla preghiera ed era esso stesso una preghiera. La cattedrale gotica intendeva tradurre così, nelle sue linee architettoniche, l’anelito delle anime verso Dio. Inoltre, con le nuove soluzioni tecniche adottate, i muri perimetrali potevano essere traforati e abbelliti da vetrate policrome. In altre parole, le finestre diventavano grandi immagini luminose, molto adatte ad istruire il popolo nella fede. In esse - scena per scena – venivano narrati la vita di un santo, una parabola, o altri eventi biblici. Dalle vetrate dipinte una cascata di luce si riversava sui fedeli per narrare loro la storia della salvezza e coinvolgerli in questa storia.

Un altro pregio delle cattedrali gotiche è costituito dal fatto che alla loro costruzione e alla loro decorazione, in modo differente ma corale, partecipava tutta la comunità cristiana e civile; partecipavano gli umili e i potenti, gli analfabeti e i dotti, perché in questa casa comune tutti i credenti erano istruiti nella fede. La scultura gotica ha fatto delle cattedrali una “Bibbia di pietra”, rappresentando gli episodi del Vangelo e illustrando i contenuti dell’anno liturgico, dalla Natività alla Glorificazione del Signore. In quei secoli, inoltre, si diffondeva sempre di più la percezione dell’umanità del Signore, e i patimenti della sua Passione venivano rappresentati in modo realistico: il Cristo sofferente (Christus patiens) divenne un’immagine amata da tutti, ed atta a ispirare pietà e pentimento per i peccati. Né mancavano i personaggi dell’Antico Testamento, la cui storia divenne in tal modo familiare ai fedeli che frequentavano le cattedrali come parte dell’unica, comune storia di salvezza. Con i suoi volti pieni di bellezza, di dolcezza, di intelligenza, la scultura gotica del secolo XIII rivela una pietà felice e serena, che si compiace di effondere una devozione sentita e filiale verso la Madre di Dio, vista a volte come una giovane donna, sorridente e materna, e principalmente rappresentata come la sovrana del cielo e della terra, potente e misericordiosa. I fedeli che affollavano le cattedrali gotiche amavano trovarvi anche espressioni artistiche che ricordassero i santi, modelli di vita cristiana e intercessori presso Dio. E non mancarono le manifestazioni “laiche” dell’esistenza; ecco allora apparire, qua e là, rappresentazioni del lavoro dei campi, delle scienze e delle arti. Tutto era orientato e offerto a Dio nel luogo in cui si celebrava la liturgia. Possiamo comprendere meglio il senso che veniva attribuito a una cattedrale gotica, considerando il testo dell’iscrizione incisa sul portale centrale di Saint-Denis, a Parigi: “Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia splendere gli spiriti, affinché con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta”.

Cari fratelli e sorelle, mi piace ora sottolineare due elementi dell’arte romanica e gotica utili anche per noi. Il primo: i capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati. Un artista, che ha testimoniato sempre l’incontro tra estetica e fede, Marc Chagall, ha scritto che “i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell'alfabeto colorato che era la Bibbia”. Quando la fede, in modo particolare celebrata nella liturgia, incontra l’arte, si crea una sintonia profonda, perché entrambe possono e vogliono parlare di Dio, rendendo visibile l’Invisibile. Vorrei condividere questo nell’incontro con gli artisti del 21 novembre, rinnovando ad essi quella proposta di amicizia tra la spiritualità cristiana e l’arte, auspicata dai miei venerati Predecessori, in particolare dai Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il secondo elemento: la forza dello stile romanico e lo splendore delle cattedrali gotiche ci rammentano che la via pulchritudinis, la via della bellezza, è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarsi al Mistero di Dio. Che cos’è la bellezza, che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne? Afferma sant’Agostino: “Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell'acqua, che camminano sulla terra, che volano nell'aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?” (Sermo CCXLI, 2: PL 38, 1134).

Cari fratelli e sorelle, ci aiuti il Signore a riscoprire la via della bellezza come uno degli itinerari, forse il più attraente ed affascinante, per giungere ad incontrare ed amare Dio.



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sabato, febbraio 08, 2025

Nuova Architettura Ucraina: connubio di identità e innovazione, di Carlo Sarno


NUOVA ARCHITETTURA UCRAINA
Connubio di identità e innovazione

di Carlo Sarno


   

 Casa del vasaio, architetto Andrew Holub



Edificio Pisanka, progetto studio Archimatika


Introduzione

Dopo secoli e secoli di influssi e propaganda di popoli dominatori, dopo l’ultimo periodo sovietico di sottomissione e totalitarismo, a partire dall’Indipendenza dell’Ucraina del 1991 ancora si stenta a voler definire e praticare una nuova architettura ucraina che sappia interpretare i valori socio-culturali, storici e personali di una Ucraina libera e indipendente.
Esempio valido per tutti di cosa è successo è la città di Kyiv, che da città conosciuta come la terza Gerusalemme dalle mille cupole d’oro, è stata trasformata nell’attuale città moderna russificata da una pianificazione autoritaria e da una edificazione di aspetto totalitario che ancora prevale sugli sforzi di un rinnovamento urbano e morfologico. Particolarmente significativo è che non ci si accorge ancora oggi che edifici istituzionali, di rappresentanza, ecc. ospitano in spazi e forme sovietiche la nuova vita della indipendente Ucraina, influenzandola dannosamente. Si sono abbattute le statue di Stalin, Lenin, come simboli di un passato nefasto, eppure gli edifici edificati dai sovietici continuano a permanere come simboli e spazi di un potere che sembra non cedere allo scorrere del tempo.
L’attuale conflitto bellico con la Moscovia che vorrebbe cancellare l’esistenza del popolo ucraino richiede con urgenza un momento di discernimento: occorre inquadrare storicamente la vera e buona radice del popolo ucraino; raccogliere spunti significativi che provengono dalla identità della civiltà socio-culturale ucraina; ritrovare principi ed esempi di un’autentica architettura ucraina del passato e di oggi; dare nuove indicazioni per un buon sviluppo della nuova architettura ucraina.


La radice dell’architettura ucraina: la antichissima civiltà ucraina Trypillia-Scita.

 

Pochi popoli possono vantare un passato millenario come il popolo ucraino. Le antichissime origini di questo popolo risalgono infatti alla Civiltà Trypillia-Cucuteni di oltre 7000 anni fa. Questa civiltà presenta insediamenti abitativi in cui la struttura urbana di tipo circolare non esprime una società organizzata rigidamente e prettamente militare, con fortificazioni e sistema di difesa, ma evidenzia un modo di vivere democratico e agricolo, aperto agli scambi commerciali e alla condivisione.
In seguito, circa quattromila anni fa e per oltre due millenni abbiamo la fusione dell’antico popolo Trypillia con gli Sciti, dapprima nomadi poi stabilizzatosi nelle terre fertili dell’Ucraina (Sciti Reali) che apportarono novità tecnologiche e una mentalità intraprendente e creativa, oltre ad avere una capacità militare ed una cavalleria notevole.
Mentre l’impero romano inizia a espandersi per tutto il mediterraneo insieme alla cultura greca, il popolo originario ucraino Trypillia-Scita si scinde in vari sottogruppi, assimila altri popoli come i Greci, i Sarmati, i Roxolani, i Goti, ecc., accoglie la Parola di Dio rivelata da Gesù Cristo e annunciata al popolo ucraino dall’Apostolo Andrea, che pose una croce sulla montagna dove poi sorgerà la città di Kyiv.
Alcuni secoli dopo, a partire dal V secolo d. C. abbiamo popoli che a causa del cambiamento climatico scendono dal Nord, prima gli Slavi dall’area baltica, poi i Variaghi dalla Scandinavia e si fondono con il popolo antico ucraino Trypillia-Scita dando origine intorno al mille d. C. ad un nuovo regno cristiano: la Rus’ di Kyiv.
Questo regno durerà circa un paio di secoli, poi si frantumerà sotto le ingerenze dei popoli limitrofi che cercheranno di appropriarsi di questo territorio ricco e fertile,
Lo spirito di identità ucraino di origine Trypillia-Scita rinasce e si rinnova nell’epoca cosacca XVI-XVIII sec. e nel XIX secolo raggiunge piena maturazione con l’opera di Taras Schevchenko, Ivan Franko, ecc. e gli studi storici, etno-culturali e antropologici ucraini.
Proclamata la Repubblica Ucraina nel 1918, che riuniva i territori orientali e occidentali in una unica nazione, fu dopo un anno soffocata dai sovietici.
Rinasce finalmente nel 1991, sotto la spinta di Chornovil e altri dissidenti, lo stato ucraino indipendente, erede dell’antico popolo Trypillia-Scita, che ancora purtroppo deve lottare per la sua esistenza e affermazione.


Identità della civiltà socio-culturale ucraina.


Chiesa di Santa Sofia, Kyiv. 

I numerosi studi etnologici e antropologici nel territorio dell’Ucraina hanno dimostrato che in questo luogo, intorno al grande e navigabile fiume Dnipro, ha origine una delle più antiche civiltà dell’umanità, Trypillia, che ha prodotto nuove tecnologie, migliorato i metodi di agricoltura, inventato linguaggio e scrittura, sviluppato cultura materiale e spirituale, organizzato vita sociale e commerciale.
Fin da allora questa civiltà si caratterizzava per una sensibilità all’arte decorativa, alla tessitura, allo scambio commerciale, alla edificazione funzionale alla vita degli abitanti, al rispetto dell’ambiente naturale e della fertile terra che consente una agricoltura varia e fruttuosa. Una particolare attenzione i Trypilliani rivolgono al contesto naturale, alla ricerca di un rapporto armonico con la natura sullo sfondo di un panteismo naturalistico che attraverso riti e miti cerca di inquadrare le incontrollabili forze della natura e il succedersi delle stagioni. La ricchezza di questo territorio dona benessere alla popolazione, sicurezza, capacità di accogliere e rispettare l’altro, di dialogare anche con lo straniero, crea momenti di socialità che rinforzano i legami umani e affettivi.
Tutte queste caratteristiche costituiscono la struttura originaria della identità ucraina. Nel tempo questa struttura originaria si arricchisce di nuovi contributi.
Dagli Sciti acquisisce la capacità tecnica e metallurgica, la precisione, la innovazione scientifica e creativa, l’audacia e valore militare, la sinergia con il cavallo e quindi con la natura.
Dal Cristianesimo viene plasmato il “cuore” degli ucraini, a partire dalla prima evangelizzazione di Sant’Andrea e san Clemente I nel primo secolo d.C., e da allora sempre più questo popolo ha incarnato i principi del Vangelo. Con San Vladimir intorno all’anno 1000 d.C. il cristianesimo diviene religione ufficiale in Ucraina, poi vivrà i contrasti scaturiti dalla scissione tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa, ma sempre il popolo ucraino dimostrerà nei secoli una grande fede e devozione a Cristo.
Nell’epoca Cosacca (XVI-XVIII sec.) il popolo ucraino matura il desiderio indomabile di libertà personale e indipendenza politica, la ricerca di una autonomia linguistica e socio-culturale, che pur se sottoposta a restrizione è sempre pronta a riemergere con fierezza e determinazione.
Nel XIX-XX sec. abbiamo le persecuzioni, sofferenze, tentativi di genocidio socio-culturale, ma si ergono a contrastare ciò personalità ucraine eccezionali che non solo impediscono il triste epilogo (Schevchenko, Franko, Hrusevsky, Lesia Ukrainka, Semenko, Kostenko, Stus, Chornovil, ecc.), ma costruiscono in maniera indistruttibile l’identità della nuova Ucraina che si proclamerà indipendente nel 1991.


Principi di un’autentica architettura ucraina.

Quartiere Comfort Town a Kyiv, studio Archimatika.

A partire dal periodo Trypillia-Scita già troviamo nell’abitare di questo popolo una attenzione per un equilibrato rapporto con l’ambiente naturale, un rispetto e valorizzazione della natura e della sua bellezza. La fertilità del territorio ucraino con una varietà di ecosistemi, dal tipo fluviale a quello costiero sul mar Nero, dalla steppa a quello montuoso dei Carpazi, comportava una necessità per le abitazioni di adeguarsi ai vari contesti ambientali e alla diversa reperibilità dei materiali per la costruzione.
Nell’antica epoca prevalevano le foreste e quindi il legno era un materiale disponibile e facile da utilizzare, al massimo si costruiva un basamento in pietra e su questo sorgeva poi la casa in legno. Dove poi mancava anche la foresta si edificava con fango e paglia, o con murature a sacco oppure a elementi modulari tipo mattone.
I luoghi degli insediamenti abitativi venivano scelti in base alla loro salubrità, al tipo di microclima favorevole alla vita e all’agricoltura.
In sostanza, il primo principio originario dell’architettura ucraina è la ricerca di un rapporto armonico tra l’uomo e la natura, tra insediamento urbano, abitazione e ambiente naturale, coincide con l’architettura organica.
Il popolo ucraino nel suo rapporto con la natura però non si ferma all’aspetto funzionale ma contempla e gode della bellezza della natura e della sua varietà: dal panorama infinito al piccolo fiore miracolosamente sbocciato nella roccia di una montagna, dallo scorrere sinuoso del fiume alla varietà dei pesci, dalla coloratissima farfalla alla cicogna che fissa il suo grande nido sugli alberi più alti, dalle foglie giallo-rosse autunnali ai prati primaverili con una miriade di fiori spontanei, dalle distese di grano agli indorati campi di girasoli, ecc.
Questa contemplazione della bellezza e varietà della natura sviluppa nel popolo ucraino una sensibilità per l’ornamento e la decorazione, che è facile riscontrare già all’origine del popolo Trypillia-Scita ed è visibile nei reperti archeologici, ma ancora oggi sussiste in maniera anche popolare e diffusa dall’artigianato tradizionale alle abitazioni, maggiormente dove la globalizzazione non ha cancellato lo spirito decorativo originario.
L’esigenza di decorazione sulla abitazione si manifesta in vario modo: con superfici colorate, con veri e propri disegni e affreschi (motivi floreali, geometrici, ecc), con elementi scultorei o morfologici, con volumetrie complesse, con pluralità di materiali di finitura e quanto altro è possibile con la fantasia e creatività.
Quindi, il secondo principio originario dell’architettura ucraina è la necessità di decorazione e ornamento della propria abitazione e di ogni edificio rappresentativo.
Il popolo ucraino nel corso dei secoli, applicando questi due principi ha sviluppato un proprio modo di rapportarsi con la vita, l’arte, l’architettura creando motivi stilistici che vengono applicati a tutta la complessità del vivere: dai vestiti ai tessuti, dagli oggetti ceramici a quelli in legno, dalla lavorazione del ferro all’oreficeria, dall’arredamento interno alla decorazione esterna, ecc. L’identità ucraina è profondamente legata a questi motivi stilistici, cromatici e compositivi, che pur rinnovandosi nel tempo conservano sempre la loro matrice simbolica e formale.
Pertanto un terzo principio originario dell’architettura ucraina è l’utilizzo di motivi ornamentali e compositivi ispirati dalla antica matrice simbolica e formale ucraina.


Indicazioni per un buon sviluppo della nuova architettura ucraina.

Design bionico e futuristico

Per chiarezza riepiloghiamo i tre principi di un’autentica architettura ucraina:
1) Armonia tra architettura e ambiente, tra uomo e natura, architettura organica.
2) Decorazione e ornamento come riflesso della bellezza della natura;
3) Identità ucraina dei motivi ornamentali, cromatici e compositivi.
Questi tre principi costituiscono il fondamento per una architettura ucraina autonoma e indipendente.
Nel passato riscontriamo in ucraina l’arrivo di vari stili e architetti provenienti dall’estero, ma sempre si è ricercato una inflessione stilistica particolare che fosse capace di caratterizzare una architettura autoctona ucraina. Così è stato per esempio nell’epoca barocca e così anche oggi l’architettura contemporanea ucraina guarda a ciò che si costruisce nel mondo, però gli architetti più sensibili progettano con elementi compositivi propri alla identità ucraina.
I problemi per un buon sviluppo della nuova architettura ucraina, in questo periodo particolare in cui si dovrà affrontare la ricostruzione post-bellica, sorgono sia quando ci si affida a professionisti ucraini che non avvertono la necessità di produrre una urbanistica e architettura autoctona, sia quando ci si rivolge a professionisti stranieri che pur avendo notevoli competenze in ambito eco-tecnologico non conoscono l’identità ucraina né comprendono il linguaggio compositivo autoctono.
Il rischio che si corre in questa ricostruzione dell’Ucraina è di edificare una nuova Ucraina estranea a se stessa, in cui il popolo non si identifica, in cui modelli provenienti da altre nazioni cancellano i riferimenti culturali esistenti. Inoltre, occorre considerare che ancora non si parla di rigenerare urbanisticamente e architettonicamente i luoghi pianificati ed edificati dal totalitarismo sovietico, ed in cui si continua a vivere o ad amministrare il bene pubblico in spazi frutto di una mentalità repressiva e coercitiva che sicuramente non corrisponde all’identità ucraina.


Quartiere residenziale a Kyiv, progetto studio Archimatika.


Un primo rimedio a tutto questo, e già fortunatamente se ne parla, e l’utilizzo di una procedura progettuale partecipata, in cui anche i futuri abitanti contribuiscono con loro proposte all’attuazione di un progetto più realistico, integrato e funzionale.
Un secondo rimedio importante può essere per gli “attori” della ricostruzione, dagli amministratori ai tecnici, di svolgere un percorso di apprendimento etno-culturale e antropologico per acquisire maggiore consapevolezza sulla identità originaria ucraina, e quindi appassionarsi alla realizzazione di una nuova urbanistica e architettura ucraina in sintonia con le sue origini.
Un terzo rimedio è la costituzione di gruppi di pianificazione e progettazione misti, in cui professionisti competenti dall’estero si uniscono con professionisti ucraini sensibili alla identità ucraina, e quindi lavorando insieme possono produrre soluzioni significative ed efficaci.
Bisogna considerare anche che la ricostruzione post-bellica ha tempi differenziati, pur essendoci necessità urgenti non si deve rinunciare ad una visione più ampia e a lunga scadenza che nel tempo può dare migliori risultati per il futuro e l’identità dell’Ucraina.
In tal senso per avere nel tempo una continuità e coerenza progettuale è prioritario inserire i giovani nei gruppi di lavoro della ricostruzione, a tutti i livelli, dalla cantieristica alla assistenza tecnica, alla progettazione, alla pianificazione e anche nella amministrazione e gestione dei finanziamenti.
Infine, occorre coordinare a livello politico tutte le forze per la realizzazione di una nuova architettura ucraina che sappia interpretare i valori socio-culturali, storici e personali di una Ucraina libera e indipendente, connubio di identità e innovazione.



Un esempio valido di Nuova Architettura Ucraina come armonia di identità e innovazione è il progetto dell'architetto Andrew Holub di una moderna Casa del Vasaio per il villaggio ucraino di Opishnya presentato con il seguente articolo sul sito RUKOTVORY : https://rukotvory.com.ua/en/info/andriy-holub-has-designed-a-modern-potters-house-for-opishnya/ (Il progetto è stato visualizzato da Olexandr Vovk).




Andrew Holub, un architetto, ha presentato  il progetto di una casa di un vasaio che si intende costruire nel villaggio di Opishnya nella regione di Poltava. Secondo l'autore, il suo progetto ha accumulato le caratteristiche dell'architettura popolare, dell'architettura Trypillya, del neomodernismo e dell'architettura organica.





"L'idea principale dell'edificio è quella di utilizzare materiali naturali ecologicamente compatibili in una nuova forma moderna in modo che rispecchino la globalizzazione del processo architettonico mondiale moderno, inserendosi allo stesso tempo in modo armonioso nell'ambiente. Ecco perché il tetto dell'oggetto è fatto di paglia, che è il materiale di copertura più ecologicamente compatibile e che non richiede attività aggiuntive (su isolamento idraulico o a vapore). Anche il cob e il pise sono ampiamente utilizzati per la realizzazione di pareti e, naturalmente, sono anche materiali ecologicamente sicuri e convenienti" — sottolinea l'autore.




Il progetto prevede un'abitazione per la famiglia del vasaio e i suoi apprendisti; un'area laboratorio per la creazione della ceramica insieme a un magazzino; una biblioteca, un piccolo negozio, una sala espositiva e uno spazio dietro l'ingresso principale per allestire esposizioni durante le stagioni calde.







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Note biografiche autore articolo arch. Carlo Sarno al link: https://carlosarno.blogspot.com/p/blog-page.html

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