martedì, novembre 19, 2024

ARMONIZZARE LE STRUTTURE CON LA NATURA : introduzione e sviluppi dell'Architettura Organica, di Filipe Boni e Sami Meira

 

ARMONIZZARE LE STRUTTURE CON LA NATURA :

introduzione e sviluppi dell'Architettura Organica

di Filipe Boni e Sami Meira (fondatori di UGREEN)


ARCOSANTI , arcologia di Paolo Soleri


Immergetevi nel mondo dell'architettura, dove gli edifici respirano e i paesaggi si intrecciano alle strutture senza soluzione di continuità: benvenuti nel regno dell'architettura organica. Questa non è solo architettura; è un ethos, una filosofia che sposa la forma con la funzione, il costruito con il non costruito, l'umanità con il suo habitat. Intraprendiamo un viaggio attraverso le valli verdeggianti del design, dove ogni mattone racconta una storia e ogni silhouette custodisce un segreto.

Introduzione: cos'è l'architettura organica?

Immaginate questo: un edificio che non si erge semplicemente sul terreno, ma cresce da esso. Muri che sussurrano le storie del territorio e spazi che scorrono come il fiume che sovrastano. Questa è architettura organica, l'arte di creare strutture così intrinsecamente legate al loro sito che non si riesce a dire dove finisce la natura e inizia l'edificio.

La Genesi

Nata dalla mente di Frank Lloyd Wright, il pioniere che coniò il termine, l'architettura organica non è uno stile, ma una profonda comprensione del ruolo dell'architettura nell'ambiente. Riguarda armonia, sostenibilità e un profondo rispetto per il mondo naturale. È un'architettura che annuisce al sole, danza con il vento e affonda le radici nella terra.

Contesto storico: alla scoperta delle radici

Torniamo indietro nel tempo fino all'inizio del XX secolo, dove tutto ebbe inizio. Frank Lloyd Wright, il maestro, getta le basi di quello che sarebbe diventato un movimento globale. Ma non era solo. I semi della filosofia organica furono piantati da molti, annaffiati dal desiderio di un modo di vivere più armonioso.

Le prime ispirazioni di Wright

The Prairie School: le prime opere di Wright, che abbracciano il paesaggio con linee orizzontali basse e spazi interni aperti.

Influenza giapponese: un profondo apprezzamento per la semplicità, l'armonia e l'integrazione degli edifici con l'ambiente circostante, che rispecchia il rispetto dell'architettura giapponese per la natura.

Il movimento cresce

L'architettura organica ha germogliato rami in tutto il mondo, evolvendosi con l'interpretazione personale di ogni architetto. Dalle sensibilità scandinave di Alvar Aalto alle forme biomorfiche di Antoni Gaudí, il movimento è cresciuto in lungo e in largo, radicandosi nell'etica dei designer che hanno osato sognare in modo diverso.


Principi fondamentali dell'architettura organica

Per comprendere veramente l'essenza dell'architettura organica, è necessario comprenderne i principi fondamentali: regole che non sono regole ma linee guida per pensare, progettare e creare spazi che vivono e respirano con i loro abitanti e il loro ambiente.

- Integrazione con sito e paesaggio

L'edificio nasce dalla terra: progetti che emergono naturalmente, rispettando la topografia, il clima e l'essenza del sito.

- Enfasi sui materiali naturali

La tavolozza della terra: legno, pietra e vetro sono i protagonisti, raccontando la storia della terra.

- Importanza della luce naturale e della ventilazione

La luce del sole come miglior designer: spazi pensati per accogliere il calore del sole e il tocco fresco della brezza.

- spaziali senza soluzione di continuità e connettività

La danza dell'interno: una coreografia in cui gli spazi si fondono tra loro, eliminando le barriere tra interno ed esterno.

- Incorporazione di forme e forme naturali

Echi della natura: curve che imitano le onde, linee rette che tracciano l'orizzonte e forme che seguono la funzione.

- Concentrarsi sulla scala umana e sul comfort

Il tocco umano: spazi che sembrano umani, proporzioni sensate e ambienti che accolgono anziché sopraffare.


La Carta Gaia per l'Architettura Organica

Mentre entriamo nel regno contemporaneo, la Gaia Charter scritta da David Pearson in "The Breaking Wave: New Organic Architecture" diventa il nostro manifesto. Questa serie di linee guida, ispirate a movimenti come il design celtico e Arts and Crafts, articola lo spirito dell'architettura organica per una nuova generazione.

Principi della Carta di Gaia:

Sostenibilità e diversità: ispirati alla natura e progettati per essere sani, sostenibili e ricchi di varietà.

Adattabilità e fluidità: edifici che si adattano, crescono e sono intrinsecamente flessibili.

Bisogni sociali, fisici e spirituali: un'architettura che soddisfa i bisogni umani più profondi.

Interpretazioni e tecniche moderne

L'ethos dell'architettura organica non è solo sopravvissuto all'era moderna; è prosperato e si è evoluto. Gli architetti di oggi attingono da una tavolozza globale di tecnologie e idee, mescolando saggezza antica con scienza all'avanguardia per creare edifici che sono sia innovativi che senza tempo.


La nuova ondata

Progressi tecnologici: utilizzo di materiali sostenibili, pannelli solari e tetti verdi.

Strumenti di progettazione digitale: software sofisticati consentono di realizzare progetti complessi ma in sintonia con la semplicità della natura.

Influenze globali: incorporare principi da tutto il mondo, creando una fusione di stili e filosofie.

Sfide e soluzioni nell'architettura organica

Nessun percorso verso l'innovazione è privo di ostacoli, e l'architettura organica ne ha la sua giusta quota. Dal tavolo da disegno al cantiere, gli architetti affrontano numerose sfide nel dare vita alle loro visioni. Eppure, per ogni problema, emergono soluzioni creative.

- Architettura organica: gli ostacoli

Costi iniziali più elevati: i materiali sostenibili e i design personalizzati spesso hanno un prezzo più elevato.

Tecniche di costruzione sperimentali: spingersi oltre i limiti della progettazione può talvolta portare a complicazioni impreviste.

Requisiti rigorosi per il sito: trovare il sito perfetto che consenta una vera integrazione organica può essere una sfida.

- Superare gli ostacoli

Utilizzo di materiali innovativi: i progressi tecnologici hanno portato a materiali sostenibili più accessibili.

Collaborazione con gli ingegneri: l'integrazione precoce delle competenze ingegneristiche e architettoniche può risolvere problemi complessi.

Strategie di progettazione adattiva: invece di cercare il sito perfetto, adattare i progetti affinché funzionino con il paesaggio disponibile.


Esempi chiave di architettura organica

L'architettura organica ha regalato al mondo alcune delle strutture più mozzafiato che non solo ridefiniscono il nostro ambiente costruito, ma anche il nostro rapporto con la natura. Qui, mettiamo in evidenza una selezione di questi capolavori, che illustrano la portata globale e storica del movimento.

Meraviglie storiche

Fallingwater (Pennsylvania, USA): il capolavoro di Frank Lloyd Wright, che si estende armoniosamente sopra una cascata.

Sydney Opera House (Sydney, Australia): il progetto di Jørn Utzon, ispirato alle vele e alle conchiglie, collega la struttura al contesto portuale.

Creazioni Contemporanee

The Eden Project (Cornovaglia, Regno Unito): una serie di enormi biomi che riproducono diverse condizioni climatiche e ospitano specie vegetali provenienti da tutto il mondo.

Tempio del Loto (Delhi, India): a forma di fiore di loto, questo luogo di culto Bahá'í è simbolo di purezza e unità nella diversità.

Questi esempi fungono da fari di innovazione, dimostrando come i principi organici possano manifestarsi in climi, culture e contesti diversi.


Come l'architettura organica promuove la sostenibilità

La sostenibilità non è solo una parola d'ordine nel regno dell'architettura organica; è il fondamento stesso. Allineandosi strettamente alla natura, queste strutture offrono soluzioni ad alcune delle sfide ambientali più urgenti di oggi.

- Pilastri della sostenibilità nell'architettura organica

Utilizzo di risorse naturali e rinnovabili: dare priorità ai materiali che hanno un impatto ambientale minimo.

Efficienza energetica: progettare gli edifici in modo da massimizzare la luce e la ventilazione naturali, riducendo la necessità di riscaldamento, raffreddamento e illuminazione artificiali.

Progettazione specifica per il sito: adattare ogni progetto al suo ambiente specifico per ridurre al minimo l'impatto sul territorio e integrarlo perfettamente nel paesaggio.

- I vantaggi dell'architettura organica in sintesi

Riduzione dell'impronta di carbonio: un fabbisogno energetico inferiore si traduce in una diminuzione delle emissioni di gas serra.

Maggiore biodiversità: preservando i paesaggi naturali e utilizzando piante autoctone, l'architettura organica contribuisce a sostenere la fauna selvatica locale.

Miglioramento del benessere umano: l'integrazione di elementi naturali nei progetti promuove benefici per la salute fisica e mentale, in linea con i principi di progettazione biofilica.

Beneficio                            Descrizione

Impronta di carbonio ridotta: Un minor fabbisogno energetico comporta minori emissioni.

Biodiversità migliorata: Supporta la flora e la fauna locali.

Miglioramento del benessere umano: Gli elementi naturali migliorano la salute fisica e mentale.

Intrecciando i principi dell'architettura organica con la sostenibilità, architetti e designer creano non solo spazi esteticamente gradevoli, ma anche eticamente validi e a prova di futuro.


Come incorporare i principi dell'architettura organica nel design moderno

Incorporare i principi dell'architettura organica nel design moderno richiede un mix di creatività, rispetto per la natura e impegno per la sostenibilità. Ecco passaggi e considerazioni praticabili per architetti e designer che desiderano infondere nei loro progetti lo spirito dell'architettura organica.

Progettare pensando al sito

Eseguire analisi approfondite del sito: comprendere la topografia, il clima e gli ecosistemi esistenti per progettare in armonia con il paesaggio.

Preservare le caratteristiche naturali: integrare nel progetto alberi, formazioni rocciose e specchi d'acqua esistenti.

Abbracciare materiali e metodi di costruzione naturali

Scegli materiali sostenibili: opta per materiali di provenienza locale, rinnovabili o riciclati che riducono l'impatto ambientale.

Tecniche di costruzione innovative: esplorare metodi di costruzione che riducano al minimo gli sprechi e il consumo energetico.

Dare priorità alla luce naturale e alla ventilazione

Sfruttare al massimo la luce naturale: progettare finestre e lucernari per aumentare la luce naturale, riducendo la necessità di illuminazione artificiale.

Promuovere la ventilazione incrociata: organizzare gli spazi in modo da consentire il flusso d'aria naturale, migliorando la qualità dell'aria interna e il comfort.

Integrare gli spazi verdi

Integrare tetti e pareti verdi: non solo migliorano l'isolamento, ma promuovono anche la biodiversità.

Progetta spazi interni ed esterni in modo che si fondano: utilizza spazi di transizione come cortili e terrazze per collegare in modo fluido l'interno con l'esterno.

Strategia                                        Descrizione

Progettazione specifica del sito:  Adattare i progetti al paesaggio, preservandone le caratteristiche naturali.

Materiali sostenibili:  Utilizzare materiali ecocompatibili per la costruzione.

Luce naturale e ventilazione:  Ottimizzare l'esposizione alla luce solare e all'aria fresca.

Spazi verdi:  Includere tetti verdi, pareti e paesaggistica integrata.


Direzioni future dell'architettura organica

Mentre guardiamo al futuro, i principi dell'architettura organica sembrano più rilevanti che mai. Con le pressanti sfide del cambiamento climatico e del degrado ambientale, la necessità di un design sostenibile e ispirato alla natura è imperativa. Ecco dove potrebbe dirigersi l'architettura organica:

Abbracciare la tecnologia

Materiali innovativi: sviluppi nei materiali di origine biologica e tecnologie intelligenti che si adattano alle condizioni ambientali.

Tecniche di fabbricazione digitale: utilizzo della stampa 3D e della costruzione modulare per ridurre gli sprechi e migliorare l'efficienza.

Architettura organica: ampliare la filosofia

Oltre ai singoli edifici: applicare i principi organici alla pianificazione urbana e alla progettazione comunitaria per creare ambienti abitativi più coesi e sostenibili.

Integrazione con le energie rinnovabili: progettare edifici che non solo riducano il consumo energetico, ma producano anche la propria energia attraverso pannelli solari, turbine eoliche e altre fonti rinnovabili.

Architettura organica - Adozione e adattamento globale

Collaborazione interculturale: fondere i principi dell'architettura organica con le tradizioni locali e le innovazioni provenienti da tutto il mondo.

Formazione e sensibilizzazione: promuovere i valori dell'architettura organica tra architetti, studenti e pubblico per ispirare una nuova generazione di progettazione sostenibile.

Tendenza futura                       Impatto

Progressi tecnologici: Progetti più sostenibili ed efficienti.

Espansione della filosofia: Una più ampia applicazione dei principi organici nei contesti urbani e comunitari.

Collaborazione globale: Approcci diversificati e culturalmente informati all'architettura organica.

Mentre ci addentriamo ulteriormente nel XXI secolo, l'eredità dell'architettura organica fornisce una base su cui possiamo costruire un mondo più sostenibile e armonioso. Traendo ispirazione dalla natura, rispettando i nostri limiti ambientali e abbracciando l'innovazione, il futuro dell'architettura può non solo apparire verde, ma essere genuinamente verde, in ogni senso della parola.


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Fonte: UGREEN, di Felipe Boni e Sami Meira, la cui missione è costruire un mondo più sostenibile e armonioso  https://ugreen.io/harmonizing-structures-with-nature-the-comprehensive-guide-to-organic-architecture/ , traduzione a cura della redazione del sito ADAO, link https://amicidellaarchitetturaorganica.blogspot.com/2024/11/armonizzare-le-strutture-con-la-natura.html

venerdì, agosto 09, 2024

La façana de la Glòria de la Sagrada Família | Ateneu Universitari Sant ...

Antoni Gaudi, Chiesa della Sacra Famiglia, 

La facciata della Gloria della Sagrada Familia 
a cura del teologo Francesc Torralba


Fonte: https://www.catalunyareligio.cat/it/torralba-delinea-facciata-gloria-sagrada-familia

venerdì, agosto 02, 2024

Carta di Hasselt, una dichiarazione di principi per una Architettura Umanitaria



CARTA DI HASSELT
una dichiarazione di principi per una Architettura Umanitaria


Dichiarazione congiunta di principi di Architecture Sans Frontières International e una rete di organizzazioni indipendente e non gerarchica partecipativa e senza scopo di lucro, impegnata nello sviluppo umano attraverso la funzione sociale, equo, culturale e ambientale dell'architettura, della costruzione, del restauro patrimonio storico e urbanistico.


Per aumentare il loro impatto, queste organizzazioni si impegnano a unire le forze collettivamente a livello internazionale per:

1. Cooperare su iniziative giuste ed eque per lo sviluppo sostenibile collaborativo efficace con le persone o le comunità svantaggiate. Questo processo deve rispettare i principi di solidarietà umana e di non discriminazione, con l’obiettivo ultimo dell’autosufficienza dei beneficiari;

2. Promuovere la responsabilità sociale dei professionisti dell'ambiente costruito privilegiando le pratiche sociali prima degli interessi speculativi del mercato;

3. Incoraggiare la “professionalità etica” che favorisce in particolare la cooperazione e la pratica insieme al commercio etico, istituzioni finanziarie che lavorano per la pace;

4. Individuare, promuovere e collaborare con le istituzioni pubbliche, le organizzazioni multilaterali e il settore privato su politiche, programmi e sistemi socioeconomici sostenibili per l'eliminazione delle disuguaglianze sociali e dell'esclusione;

5. Facilitare l'uso di tecnologie appropriate, materiali ecologici e manodopera adeguata ai valori culturali e alle identità di ogni realtà nel rispetto dell'ambiente;

6. Condividere la conoscenza, promuovere il dialogo e la riflessione, sensibilizzare e collaborare promuovere la produzione sociale di alloggi;

7. Promuovere il dialogo e il consolidamento di partenariati transnazionali sostenibili con e tra i paesi paesi meno sviluppati;

8. Sostenere processi partecipativi, democratici, multiculturali e interdisciplinari nella rafforzamento della solidarietà delle comunità come fattore di sviluppo sociale rurale o urbano;

9. Integrare una strategia di sviluppo sostenibile nei programmi post-emergenza;

10. Difendere, fornire e migliorare un alloggio dignitoso e adeguato per tutti come “Diritto Universale Fondamentale".




La Cattedrale di cartone di Shigeru Ban in Nuova Zelanda



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Fonte : Lo Spazio Morale, assistenza umanitaria e cooperazione allo sviluppo, a cura del Consiglio Nazionale Architetti,Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ( www.awn.it )


https://www.casaportale.com/public/uploads/71464-CNAPPC_GUIDA-Lo-spazio-morale_WEB_compressed%20(1)_unlocked.pdf

giovedì, dicembre 29, 2022

Alla scoperta di una microsfera cristiana in Sant'Agostino, di Domenica Lavalle



ALLA SCOPERTA DI UNA ‘MICROSFERA’ CRISTIANA: LO ‘SPAZIO DOMESTICO’ COME SPECCHIO DELLA SOCIETAS CHRISTIANA IN SANT’AGOSTINO

di Domenica Lavalle



L’accezione agostiniana di ‘spazio domestico’ si articola nelle due ‘microsfere’: casa e famiglia. La casa, intesa come abitanti o come uomo stesso, appare quale ‘cellula’ sociale posta a fondamento della società, ovvero ‘specchio’ della societas christiana.


Come è ben noto, nel pensiero agostiniano lo spazio più che una dimensione fisica si configura come un meccanismo mentale, una nostra intuizione, in verità defettibile2 , che si realizza attraverso la memoria3 : imagines ergo – afferma sant’Agostino - illorum locorum memoria continentur4. È la memoria che rende possibile all’uomo la raffigurazione dello spazio in senso geometrico, ovvero come estensione. L’anima che contiene tantorum spatiorum imagines innumerabiles nulla sua et longitudine, et latitudine, et altitudine5 permette la percezione dello spazio. La ‘interiorizzazione’ dello stesso fa in modo che in Agostino lo ‘spazio domestico’ assuma un’importanza notevole, essendo concepito quale parte fondamentale della societas christiana6, uno spatium visto sotto una luce diversa e che si carica, pertanto, di nuovi valori proiettandosi in una prospettiva escatologica. L’accezione agostiniana di ‘spazio domestico’ si articola principalmente in due ‘microsfere’: casa e famiglia.

Nell’immaginario degli antichi romani, la domus era quel microcosmo in cui gli ideali politici, religiosi e culturali della res publica dovevano essere trasmessi di generazione in generazione, perpetuando così una forte percezione del mos maiorum. Esistono due orientamenti interpretativi sulla domus nel mondo romano ancora pagano. Il primo, il cui maggiore rappresentate è Schefold7, si basa su un’interpretazione spiritualistica che fa della casa una sorta di santuario in forma di pinacoteca: le immagini che si possono scorgere in essa rifletterebbero l’ “idea spirituale del dominus”. Di recente, invece, gli studiosi8 hanno insistito sulla dimensione pubblica, ovvero politica, dello spazio domestico. Secondo questo approccio sociologico, la domus altro non sarebbe che il riflesso dello status sociale del dominus, diventando espressione della gerarchia sociale. In un articolo, Renaud9, rifacendosi a Thébert, presenta lo spazio domestico pagano come un luogo di contraddizioni:la dinamica della domus romana si risolve, secondo lo studioso, nella dialettica tra pubblico e privato. Pur essendo ben distinti, gli spazi pubblici e privati all’interno della casa si intersecano, giustapponendosi: alla luce di questa ricostruzione, sarebbe riduttivo, pertanto, interpretare lo spazio domestico solo come riflesso di quello pubblico o, al contrario, in opposizione. Non bisogna dimenticare inoltre che, per i pagani, la domus si rivestiva di un’aurea sacra, ospitando il culto degli dei Penati10.

Ancor più dei pagani, per i Cristiani la domus si carica di valenze affettive e religiose. Riprendendo delle immagini proprie delle Sacre Scritture11, Agostino attribuisce alla casa una doppia valenza: una ‘materiale’, ovvero casa come edificio, e una metaforica che la trasforma, da un lato, in simbolo del paradiso, ovvero emblema della chiesa- casa di Dio12, dall’altro, in una ‘cellula’ sociale in cui i nuovi ideali cristiani devono trovare terreno fertile per sbocciare e crescere. Nella prospettiva cristiana, la casa terrena diventa un tabernaculum peregrinantium13: in ista peregrinatione- scrive Agostino- dicitur domus, sed proprie tabernaculum appellatur14. La vera domus per il cristiano è la casa eterna, ovvero la domus Domini nella quale abiteremo per sempre15. La creatura umana è chiamata ad ascoltare il Signore, edificando così una ‘casa’ sulla roccia16, fondando la propria vita in Cristo. Esorta, infatti, Agostino: estote vos domus Dei et facta est ecclesia corporea17. 

Per metonimia, la domus designa anche i suoi abitanti, i componenti della familia18: domus vocatur et parietes et inhabitantes19. Una casa appare malvagia se lo sono le persone che vi abitano20. È opportuno, invece, che il cristiano edifichi la sua ‘domus’ vivendo onestamente21, anzi egli in persona è esortato a farsi casa di Dio, accogliendo la sua parola22. La casa, correlativo oggettivo della famiglia, si configura nella riflessione agostiniana quale formazione sociale indispensabilissima, posta a fondamento della società: essa è un inizio o una piccola parte dello Stato23: hominis domus initium sive particula debet esse civitas omne autem initium ad aliquem sui generis finem et omnis pars ad universi, cuius pars est, integritatem refertur, satis apparet esse consequens, ut ad pacem civicam pax domestica referatur, id est, ut ordinata imperandi oboediendique concordia cohabitantium referatur ad ordinatam imperandi oboediendique concordiam civium. Ita fit, ut ex lege civitatis praecepta sumere patrem familias oporteat, quibus domum suam sic regat, ut sit paci accommoda civitatis 24.
In questo passo del De civitate, Agostino afferma che, essendo la domus una componente strutturale della società civile, il paterfamilias dovrebbe trarre dalla legge dello Stato i praecepta con cui regolare la propria famiglia affinché si armonizzi con la pace dello Stato. In questo contesto, pertanto, le regole morali sono dedotte dalla sfera pubblica per essere applicate a quella privata. Si riscontrano, però, altri due passi25 – sempre tratti dal De civitate Dei - in cui la prospettiva agostiniana sembra capovolgersi. Nel primo, Agostino, parlando dell’imperialismo romano, afferma che la potenza di uno Stato non si deve valutare dalla grandezza e dall’estensione del suo impero, bensì dal benessere dei suoi cives: ogni individuo è un elemento di una società civile e di uno Stato, anche se molto estesi come territorio26. Ancora, biasimando la guerra di Roma contro la città-madre27, Alba Longa, Agostino – secondo un’interpretazione a mio avviso troppo forzata di Burnell28 – attesta chesono i precetti della famiglia a costituire le basi della morale pubblica. La domus appare nella riflessione agostiniana come un microcosmo ordinato, retto dai principi dell’ordo, della pax e della concordia, configurandosi, pertanto, come commune perfugium in his malis humani generis29. 
L’ordine, principio a cui è sottoposto l’universo intero30, è l’assetto di cose uguali e diseguali che assegna a ciascuno il proprio posto31 e consiste nel godere delle cose da godere e nell’usare le cose che si devono usare32, mentre la pace è la concordia tra gli uomini33, nonché l’unione con Dio34. Questi principi, come vedremo a breve, vengono trasposti alla societas christiana35. Atomo dell’ordine naturale della società non è né la casa né la famiglia, bensì la copulatio36 l’unione dell’uomo con la donna37. Permane della concezione giuridica romana di familia38 il senso legale riferito ad personas, ovvero a tutte quelle persone soggette alla potestas di un paterfamilias39: la società domestica cristiana assume la stessa struttura gerarchica di quella tradizionale. L’ordine e la pace nella casa sono garantiti dalla supremazia del pater: una domus è recta ubi vir imperat, femina obtemperat40. 

La famiglia cristiana si fonda sul sacramentum del matrimonio41, vincolo basato sulla ratio rectissima caritatis42: Agostino, pur riconoscendo l’uguaglianza dei coniugi43 - in quanto creature di Dio - nella comunità nuziale, sottolinea la diversità dei due ruoli. L’armonia coniugale si fonda su delle linee di dominazione e di obbedienza44: “il marito -dice Agostino - come capo, deve guidare la donna, la quale lo deve seguire; ma questo implica che lui sappia dove va, e non vada per una via sulla quale non vorrebbe che la moglie lo seguisse45”. A buon diritto, Borresen46 ha analizzato i concetti di uguaglianza e subordinazione in Agostino. La moglie è presentata come custode del marito47: “commendo vos – esorta Agostino- custodiendos etiam uxoribus vestris. Filiae meae sunt, sicut et vos filii mei estis. Audiant me: zelent viros suos; non sibi servent vanam gloriam, qua solent a maritis impudicis matronae laudari, quia impudicitiam virorum suorum aequo animo ferunt. Nolo talem patientiam habeant christianae mulieres: prorsus zelent viros suos; non propter carnem suam, sed propter animas illorum”48.
Il rispetto per la donna non è mai messo in discussione, tant’è vero che Agostino continua ad esortare le mogli dicendo: “nolite viros vestros permittere fornicari. Interpellate contra illos Ecclesiam”49.
Tuttavia in tutto il resto è opportuno che le mogli siano sottomesse con devozione ai mariti: “in ceteris omnibus ancillae estote virorum vestrorum, subditae ad obsequium.
Nulla sit in vobis protervitas, nulla superbia, non contumeliosa cervix, non aliqua inoboedientia: prorsus tamquam ancillae servite”50.
Inoltre, il paterfamilias assume dei doveri episcopali, dal momento che spetta a lui di provvedere che tutti i familiari onorino Dio51. L’uomo è per sua natura un animal socialis, pertanto “ama il bene e gli amici per se stesso come ama il proprio52”. È questo il comandamento di Dio: amare il prossimo come amiamo noi stessi53. Tale comandamento deve costituire le fondamenta della domus e della societas christiana54.

A questo punto, si possono esemplificare le implicazioni tra domus e societas christiana55, quali sono auspicate dallo scrittore. Entrambe sono rette dai comandamenti di Dio: dilectio Dei et proximi; in entrambe si devono ricercare “i beni che sono stati promessi come eterni nell’aldilà56”; in entrambe vige un principio gerarchico, dal momento che il primato del paterfamilias nella domus e quello di Dio nella civitas caelestis non devono essere messi in discussione. Ancora, sia nella domus che nella societas christiana devono regnare i principi della caritas, della pax e dell’ordinata concordia. L’amore coniugale è rifondato sull’ordo caritatis57 che fa del matrimonio un sacramentum indissolubile e sacro58, ma la ratio caritatis applicata alla civitas terrena designa quel legame di affinità e reciproca dipendenza di ascendenza stoica, che si riveste di contenuti nuovi col Cristianesimo. Dilectio Dei et proximi sono i due comandamenti imprescindibili per poter raggiungere la civitas caelestis59. La pax circoscritta alla domus è l’ordinata imperandi atque oboediendi concordia cohabitantium60, mentre trasposta alla civitas è l’ordinata imperandi atque oboediendi concordia civium61: pace familiare e pace civile sono, però, strettamente legate62. Quando l’orizzonte dalla prospettiva terrena si sposta a quella escatologica, la pax diviene l’ordinatissima et concordissima societas fruendi Deo et invicem in Deo, pax omnium rerum tranquillitas ordinis63. 
Evoluzione simile subisce il criterio dell’ordinata concordia: nella domus indica inter virum et uxorem pax, ovvero la parium dispariumque rerum sua cuique loca tribuens dispositio64; nella società civile indica la concordia ordinum, vale a dire quel principio gerarchico su cui si deve fondare la comune convivenza; nella civitas caelestis invece l’ordo di ogni cosa è garantito dall’obbedienza a Dio.

Il Cristianesimo si appropria, quindi, di archetipi già pagani: per i ‘gentili’ nella domus doveva essere riprodotto il culto religioso pubblico tramite la venerazione privata dei Lari; per i cristiani è nella microsfera della famiglia che si realizza l’accoglienza di Dio, accoglienza che dovrà essere poi trasmessa alla macrosfera della civitas terrena, affinché possa modellarsi sulla pace e l’ordine perfetti della civitas Dei.




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Zumkeller, A. (1986): Augustine’s Ideal of the Religious Life, Fordham University Press, New York (German original 1968).



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Note:

1 Università di Messina, Scuola di Dottorato in Scienze Archeologiche e Storiche, ciclo XXV (tutor Professoressa Lietta De Salvo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Polo Annunziata, 98168 Messina). Email: domenica85@hotmail.it.
2 August. mus. 6,7.19: “quapropter si humanae naturae ad carnalis vitae actiones talis sensus tributus est, quo maiora temporum spatia iudicare non possit, quam intervalla postulant ad talis vitae usum pertinentia; quoniam talis hominis natura mortalis est, etiam talem sensum mortalem puto”.
3Vastissima è la bibliografia sulla memoria in Sant’Agostino, qui mi limito a: Cilleruelo 1949: 451-474; Kertesz 1944; Lain Entralgo 1954; Rodriguez Neira 1971: 371-407; Winkler 1954: 511-5l9.
4 August. quant. anim. 5,9.
5 Ibidem.
6 Edward Cranz 1950: 215-225.
7 Schefold 1952.
8 Fondamentale è la sintesi di Guilhembet 1996: 53-60.
9 Renaud 2008: 111-132.
10 Di “sanctity of the house” parla Saller 1984: 336-355.
11 Nella Bibbia, la “casa” assume diversi significati: abitazione, dimora (exod. 8,9; deut. 22,8); famiglia, prole (exod. 1,21; deut. 25,9; 1 reg. 2,24); dimora di Dio (gen. 28,17; 2 par. 6,18.21.39; Luc. 2,49; Ioh. 14,10; 15,10; 16,28) che è pure la nostra (Luc. 15,32; Io 17,24; 1 Ioh. 2,5.10.24.28); il cielo (1 reg. 8,27; Ier. 7,2-14; Ezech. 1,1s; 10,18; 11,23), il creato (Iob. 38,4-38; Bar. 3,24-32) tabernacolo o tenda (exod. 33,7-21; num. 12,7); Tempio (1 reg. 8,43; 1 par. 29,3); Chiesa (Eph. 2,20-21); fedeli (Ioh.14,20; 15,4; 1 Cor 3,9; Ef 2,22; 1 Io 3,24; 4,13.15.16); l’uomo vivificato dallo Spirito (Gn 2,7; 25,8; Iob 4,19; Eccles. 12,5-7)
12 Sulla nozione di casa come casa di Dio: Calvo Madrid 1993: 943-1033; Calvo Madrid 1994; CONGAR 1957: 1-14; Gilson 1953: 5-23; Ratzinger 1971.
13 August. in psalm. 26,2.6.
14 Ibidem.
15 Ibidem: domus enim ea dicitur ubi semper manebimus.
16 August. serm. 179,8.
17 August. serm. 107A,9.
18 August. epist. 1*1; August. C.D. 19,3.12; August. serm. 302,21; August. in psalm. 127,1.
19 August. in epist. Ioh. 2,12: “et aliquando laudamus domum, et vituperamus inhabitantes. Dicimus enim, bona domus; quia marmorata est et pulchre laqueata: et aliter dicimus, bona domus; nemo ibi patitur iniuriam, nullae rapinae, nullae oppressiones ibi fiunt. Modo non parietes laudamus, sed inhabitatores parietum: domus tamen vocatur […]. Cfr. August. in psalm”. 141,15.
20 August. in Gal. 3.
21 August. C.D. 17,12.
22 August. serm. 107A,9: estote vos domus Dei et facta est ecclesia corporea. Ancora i corpi degli uomini sono definiti loro “case” in August. serm. 159,8.8.
23 August. C.D. 19,16.
24 August. C.D. 19,16.
25 Su questa discrasia dei passi agostiniani: Burnell 1997:35-39. Secondo lo studioso, tale disparità tra i vari passi agostiniani non è dovuta alla distanza temporale che ricorre tra i libri del De civitate Dei, bensì al contesto relativo all’esistenza e al progresso della Città di Dio nel mondo terreno imperfetto: “takem in the context, then, that passage means that the City of God, where it progresses and is manifested in the world, does so by way of civil society’s provision of rules for families”. “The family – precisa Burnell- is experientially prior to civil society, but civil society is metaphysically prior to the family”. Il nucleo originale della società civile, dunque, è la Città di Dio sulla terra.
26 August. C.D. 4,3.
27 August. C.D. 3,14: quo modo ergo gloriosum alterius matris, alterius filiae civitatis inter se armorum potuir esse certamen?
28 Burnell 1997: 35-36.
29 Ibidem. Cfr. dig. 2,4,18 (Gaius 1 a l. XII tab.): la domus è definita tutissimum cuique refugium atque receptaculum.
30 August. vera relig. 8,14 e 26,49.
31 August. C.D. 19,13.1.
32 August. divers. quaest. 83, 30.
33 August. epist. 238,2.16.
34 August. C.D.19,17.
35 Brown 1975.
36 August. bon. coniug. 1.1: qui si legge che il primo naturale legame della società umana è quello fra uomo e donna. Il concetto di copulatio, che implica un unione durevole quindi l’indissolubilità del matrimonio, è estranea al diritto romano, dove si parla invece di coniunctio, ovvero unione naturale occasionale. Cfr. dig. 23,2,1 (de ritu nuptiarum): "nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio. Ancora nelle Institutiones di Giustiniano (Inst. 1,9,1) si legge: nuptiae autem sive matrimonium est vici et mulieris coniunctio, individuam consuetudinem vitae continens”.
37 Shaw 1987: 10-12 La famiglia figurava come cellula di base della società già nel pensiero di Cicerone. Cfr. Cic. Off. 1,17,54: “nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi, prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae. Sequuntur fratrum coniunctiones, post consobrinorum sobrinorumque, qui cum una domo iam capi non possint, in alias domos tamquam in colonias exeunt. Sequuntur conubia et affinitates ex quibus etiam plures propinqui; quae propagatio et soboles origo est rerum publicarum".
38 ULP. dig. 50,16,195,1-2 (Ulpianus 46 ad ed): “’familiae’ appellatio qualiter accipiatur, videamus. Et quidem varie accepta est: nam et in res et in personas deducitur. In res, ut puta in lege duodecim tabularum his verbis "adgnatus proximus familiam habeto". Ad personas autem refertur familiae significatio ita, cum de patrono et liberto loquitur lex: "ex ea familia", inquit, "in eam familiam": et hic de singularibus personis legem loqui constat. […]. Iure proprio familiam dicimus plures personas, quae sunt sub unius potestate aut natura aut iure subiectae, ut puta patrem familias, matrem familias, filium familias, filiam familias quique deinceps vicem eorum sequuntur, ut puta nepotes et neptes et deinceps. pater autem familias appellatur, qui in domo dominium habet […]”.
39 Cfr. dig. 48,9,5: “patria potestas in pietate debet, non auctoritate consistere”. Assoluta è la supremazia del paterfamilias, da cui deriva la struttura fortemente gerarchica della famiglia romana. Cfr. ULP. dig. 1,6,4 (Ulp. 1 inst): “[…] patres familiarum sunt, qui sunt suae potestatis sive puberes sive impuberes: simili modo matres familiarum; filii familiarum et filiae, quae sunt in aliena potestate […]”.
40 August. in epist. Ioh. 2,14.
41 Riguardo alla sterminata bibliografia agostiniana sul matrimonio, ricordo solo: Alves Pereira 1930; Berrouard 1968: 139-55; Clark 1986: 139-62; Dattrino 1995; Honings 1969: 259-319; Thonnard 1969: 113-31; Larrabe 1972: 671-689.
42 August. C.D. 15,16.1
43 Sui rapporti tra i coniugi: Schmitt 1983: 287-295; Borresen 1985: 97-195; McGowan 1987: 255-64.
44 August. C.D. 19,13.16. cfr. Lamirande 1999: 599-606.
45 August. serm. 392,5.
46 Borresen 1985.
47 Cfr. dig. 50,16,46,1: ““materfamilias” accipere debemus eam, quae non inhoneste vixit: matrem enim familias a ceteris feminis mores discernunt atque separant. Proinde nihil intererit, nupta sit an vidua, ingenua sit an libertina, nam neque nuptiae neque natales faciunt matrem familias, sed boni mores […]”.Cfr. anche dig. 43,30,3,6, dove la materfamilias è definita notae auctoritatis femina.
48 August. serm. 392,4.
49 Ibidem.
50 Ibidem.
51 August. C.D. 19,16 e Serm. 94. Cfr. August. Serm. 164A,3: “huic officio omnis invigilat disciplina, sicut cuique regenti apta et accomodata est, non solum episcopo regenti plebem suam, sed etiam pauperi regenti domum suam, diviti regenti familiam suam, marito regenti coniugem suam, patri regenti prolem suam, iudici regenti provinciam suam, regi regenti gentem suam”.
52 August. C.D. 19,3.2: amicorum bona propter se ipsa diligat sicut sua eisque propter ipsos hoc velit quod sibi .
53 Bardy 1959; Beschin 1983; Bode 1991; Hultgren 1939.
54 Zumkeller 1986.
55 Arquillière 1931: 227-242; Brezzi 1949: 57-70; Brucculeri 1945; Burns 1979: 67-83; Chadwick 1980; Combès 1927; Cotta 1960; Deane 1963; Fortin 1972.
56 August. C.D. 19,17.
57 Bode 1991; Burnaby 1938; Canning 1993; Capànaga 1973: 213-278; Combés 1932; Congar 1982: 86-99.
58 Berrouad 1968: 139-155; Torti 1979.
59 Figgis 1921.
60 August. C.D. 9,13.1.
61 Ibidem.
62 August. C.D. 19,16.
63 August. C.D. 9,13.1.
64 Ibidem.



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Fonte:  AntesteriaNº 1 (2012), 401-409  https://www.ucm.es/data/cont/docs/106-2016-03-17-Antesteria%201,%202012ISSN_399.pdf 

lunedì, settembre 26, 2022

Pia partecipazione e spazio liturgico, di Carlo Sarno

 

LA “PIA” PARTECIPAZIONE FONDAMENTO DELLO SPAZIO LITURGICO

-  Citazioni, annotazioni, riflessioni


di Carlo Sarno


“E' lo Spirito che edifica le pietre, non viceversa. Lo Spirito non è rimpiazzabile né con il denaro né con la storia. Dove non è lo Spirito a costruire, le pietre diventano mute. Dove lo Spirito non è vivo, non opera né anima, le cattedrali diventano musei, monumenti del passato, la cui bellezza rende tristi perché è morta.” CARD. JOSEPH RATZINGER , tratto da Opera Omnia XI, Teologia della liturgia, Ed. Vaticana, Città del Vaticano, 2011, pag.522.

 

La Costituzione del Concilio Vaticano II° sulla sacra liturgia: SACROSANCTUM CONCILIUM, richiama la nostra attenzione sulla “pia” partecipazione alla liturgia nel cap. II° art. 47/48, dove è scritto:

“Il sacrificio eucaristico è sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità.

La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli… partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente.”

 

Come favorire con la progettazione dell’edificio-chiesa la “pia” partecipazione dei fedeli alla sacra liturgia ?

Come suscitare e stimolare sentimenti di pietà ?

Queste note hanno come finalità di suggerire spunti di riflessione sulla questione.

Per sviluppare l’argomento citiamo alcune definizioni utili tratte dal Dizionario Garzanti:


EUCARISTIA (Eucarestia): sacramento delle chiese cristiane che rappresenta il sacrificio di Gesù Cristo, il pane (sotto forma di ostia) e il vino con cui viene celebrato questo sacramento, simboli del corpo e del sangue di Cristo. Il momento della messa in cui si celebra questo sacramento. Dal tardo lat. Eucharistia, dal gr. Eucharistia, composto da eu “bene” e un deriv. di charis-itas “grazia”; propr. “riconoscenza, gratitudine”.

MESSA: nella liturgia cattolica, rito in cui si rinnova il sacrificio del corpo e del sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, è offerto dal sacerdote a Dio sull’altare. Lat. Ecc. missa da mittere “mandare”, dalla formula finale latina del rito “ite, missa est” “andate, (l’offerta) è stata mandata”. (andate, l’offerta-sacrificio al Padre è stata inviata)

PIO:
animato da sentimenti di misericordia, da carità, da amore verso il prossimo;
anima pia: persona disposta ad aiutare gli altri;
le pie donne: secondo il Vangelo le donne che seguirono Cristo nella salita del Calvario e in particolare le tre Marie;
sinceramente osservante delle pratiche religiose, devoto, una donna pia, che rivela religiosità, un atteggiamento pio;
volto a fini di religione, sacro, consacrato, luoghi pii, quelli in cui si tiene il culto;
(lett.) mansueto, pacifico (pio bove – Carducci)
Sin.: pietoso, misericordioso, caritatevole, buono, amorevole; di persona religiosa: devoto, fedele, pietoso, credente, osservante, religioso; spec. Di luogo: sacro, consacrato, santo.

PIETA’:
sentimento di compassione, di partecipazione, suscitato dai dolori e dall’infelicità altrui;
opera di pietà: azione caritatevole,
avere pietà, sentire pietà, provare destare suscitare invocare… pietà di/per qualcuno;
nella teologia cattolica, uno dei sette doni dello Spirito Santo , che si manifesta in una vita di devozione;
pratiche di pietà: curare gli ammalati, visitare i carcerati, ecc. opere di misericordia spirituale e corporale;
(lett.) affetto, amore, pietà filiale;
sin.: misericordia, commiserazione, compassione, compatimento;
analog.: comprensione, partecipazione, carità, indulgenza, umanità, benevolenza, benignità;


Seguono ora alcune citazioni di riflessioni sull’argomento della “Pietà”



PIETA’
di A. Guerra

(tratto dal Dizionario sintetico di pastorale, Foristan – Tamayo)

La parola pietà è frequente nella Scrittura. Anzi, sembra che poche parole abbiano meritato un elogio così universale come quello che si legge in 1 Tm 4,8: « La pietà è utile a tutto » . Tuttavia, è altrettanto certo che sono in calo il nome e la fama della pietà: l'essere pii non sembra oggi una cosa molto lusinghiera. Cerchiamo di individuarne le cause e di rivalutarla cristianamente.
La pietà porta istintivamente a pensare al campo limitato del religioso, cioè, a ciò che dice rapporto con Dio. Gli uomini ed il mondo rimarrebbero al margine della pietà dell'uomo. Se fosse così, sarebbe molto difficile incontrare nel nostro mondo un'accoglienza normale. D'altra parte, la pietà fa pensare subito alle pratiche di pietà, un campo in cui il cristianesimo si è esageratamente aggrappato a formule, gesti e riferimenti. Non poche pratiche di pietà provocano derisione o compassione. Possiamo dire che fanno « pietà ».
Queste due impressioni, che possono essere sufficienti a molti cristiani, rendono difficile la pietà e allontanano da essa non pochi cristiani, che si sentono offesi se vengono chiamati pii.
Sembra che effettivamente la parola pietas latina abbia tenuto presente soltanto la relazione ascendente: il rapporto dell'uomo con la divinità. Era l'uomo che aveva da essere pio. La rivelazione, tanto dell'Antico quanto del Nuovo Testamento, contempla un Dio che è pietoso. Non solo, ma Dio è chiamato: « Dio di pietà » (Sal 86,15). La pietà di Dio è una pietà che si manifesta come atteggiamento di vicinanza all'uomo, di fronte alle necessità concrete. Una serie di parole formano il complesso della pietà di Dio verso gli uomini: amore, clemenza, misericordia, compassione, fedeltà...
Questa consapevolezza della pietà di Dio verso l'uomo suscitava in questi non solo come reazione la risposta di adesione al Dio pietoso, ma lo portava per prima cosa ad invocarlo come tale: « Pietà di me, Signore » (Sal 86,3). La domanda diventa così una preghiera fiduciosa nella pietà di Dio. Tutta l'invocazione dell'AT si concentra nel chiedere la venuta del Salvatore e questi è identificato con « il mistero della pietà (1 Tm 3,16). In questo mistero insondabile di pietà, è racchiuso l'atteggiamento di Dio verso l'uomo. È una descrizione migliore di qualsiasi altra dell'AT, in cui si ha il tipo di quello che ha da venire.
Non solo Cristo è collegato con la pietà di Dio, ma anche lo Spirito Santo. Sappiamo che la teologia insiste oggi più sul dono, che è lo Spirito Santo, che non sui doni dello Spirito Santo. La donazione del dono, dello Spirito, suscita in noi la reazione dinanzi alla pietà di Dio, una reazione che tutti pongono nell'accogliere Dio come padre degli uomini e principio della fraternità universale. È per mezzo dello Spirito che gridiamo: « Abbà! Padre! » (Rm 8,15).
La pietà assume così una dimensione trinitaria che la rende profondamente cristiana: il Padre manifesta la sua pietà soprattutto col mandare il Figlio suo. Lo Spirito del Figlio illumina l'oscurità dell'uomo perché percepisca il senso di questo atto del Padre e di tutto il suo atteggiamento pietoso.
La Chiesa, come anche ogni cristiano, realizza se stessa ad immagine della Trinità in ogni sua dimensione. Per questo, l'uomo non è pio soltanto perché si rivolge a Dio Padre con cuore di figlio nel Figlio, ma anche perché è pio di fronte agli altri, ai suoi fratelli. Probabilmente, non c'è da insistere, come si fa di solito, sul fatto che la pietà è fraterna perchè è paterna (uniti al Padre, siamo uniti anche con gli altri figli dello stesso Padre). Si deve soprattutto insistere sul fatto che la pietà suppone un essere e ha di fronte quello che non è o che non ha. Tutti gli uomini, di fronte agli altri uomini, sono ed hanno quello di cui gli altri hanno bisogno. In questa dimensione di essere e di avere, occorre chinarsi davanti a chi non è e non ha.
Questa dimensione discendente della pietà umana, ad immagine della pietà di Dio, che si incarna in atteggiamenti e doni (fino al punto che Dio Padre ci dona il Figlio suo), cambia profondamente il senso della pietà, relegando la pietà, sinonimo di devozione ad una accezione molto secondaria, che non può assolutamente divenire primaria, e nemmeno unica.
La pietà, come qualsiasi altro atteggiamento umano, deve incarnarsi in realizzazioni umane. Diversamente, cadremmo in un puro idealismo. Però, queste incarnazioni non possono stare al margine di qualsiasi nuova considerazione che venga fatta riguardo alla pietà.
Come si parla, giustamente, di un culto esistenziale (Rm 12,2), assieme ad un culto sacramentale, così dobbiamo parlare di una pietà esistenziale assieme ad una pietà devozionale (non mi arrischio a chiamarla sacramentale, anche se lo è). Dire che nella tradizione si è imposta la pietà rituale o devozionale su quella vitale o esistenziale non è esagerato: è una realtà. Ci deve essere un recupero della pietà esistenziale: ogni esistenza che si presta a condividere quello che è e quello che ha, fino al dono più prezioso, è un'esistenza pia che susciterà negli altri l'avvicinamento ai pii senza paura, ma con fiducia e serenità.
Per vivere la pietà, si può seguire questo duplice cammino: entrare nella pietà di Dio, che suscita la nostra pietà verso di Lui; cominciare con l'essere pii verso gli altri: questo ci porterà istintivamente verso Colui che dimostrò la sua pietà nel « mistero della pietà » (1 Tm 3,16).
Quando ci si è accinti a redimere le pratiche di pietà, non sembra che si sia tenuto conto di questo orientamento. Si è badato quasi unicamente al rapporto esterno con la liturgia. Non c'è stato grande interessse per altre dimensioni. Così è stato un pò dappertutto.

Bibliografia
Giovanni Paolo II, Enciclica « Dives in misericordia », 30.11.1980. Maritain J. e R., Vita di preghiera, liturgia e contemplazione, Ed. Borla, Roma, 1979. Sudbrack J., « PietàSpiritualità », in: Enciclopedia Teologica, Ed. Queriniana, Brescia, 1989, pp. 725‑731.





IL DONO DELLA PIETÀ
di Giuseppe Pollano


La pietà è un termine su cui non bisogna equivocare: è il rapporto religioso con Dio, poi diventa anche un sentimento tra noi. L’uomo pio è l’uomo che dà a Dio quello che è di Dio, l’empio”, il non pio è chi non dà a Dio quello che è di Dio: fede, speranza, amore. La pietà è il benefico influsso dello Spirito grazie al quale percepiamo sempre di più (è un crescendo) che Dio è Padre e il nostro rapporto con Lui si fa perciò sempre più filiale, come quello di Gesù. Dunque quando io dico “Dio Padre” lo dico tanto più sentendomi figlio, sentendolo Padre, e questo nome poco per volta acquista più spessore, più importanza; comincio a dirlo pensando bene a cosa vuol dire. La pietà ha in noi degli effetti molto belli.
GLI EFFETTI DELLA PIETÀ
La Pietà produce in noi confidenza e tenerezza filiali (Mt 6,25-32). Il discorso della montagna, dove Gesù ci parla del Padre provvidente che non solo si china su di noi, ma ha cura dei fiori, dei passeri, ci mette in questo clima di confidenza: Tu sei qui, allora Tu sei nostro Padre, ti curi di me.
Come saremmo sereni se ci ricordassimo che questo Padre si cura di noi anche nella prova. Quando tutto ci va abbastanza bene, non ci sono problemi; ma raramente nella vita tutto va abbastanza bene. Ed allora ecco la confidenza: mi fido di Te, Padre, so che Tu mi conduci.
Questo sentimento è troppo raro in noi perché, appartenendo ad una società piuttosto angosciata, siamo un po’ contagiati da paura e inquietudine. No, fidiamoci, Dio è buono, Dio è Padre.
Abbiamo bisogno, perché la vita è fatica, di coltivare questa pietà confidenziale, di credere che Dio è Padre.
La Pietà produce in noi gradimento nella preghiera (Sal 83,11). Si sta bene con questo Padre e allora la preghiera dà un po’ il senso di essere a casa. Come si sta bene nei tuoi atri, dice il Salmo. Si sta bene con Dio perché Lui ci accoglie a casa. La casa non è dove andremo dopo la morte: la casa è già adesso, Dio è con noi sempre, non siamo mai soli! Allora ci si abbandona facilmente a questo Padre: mi fido di Te. Gesù ha portato fino all’estremo l’abbandono, mentre stava per spirare sulla croce dicendo quell’ultima frase che descriveva tutta la sua vita di fiducia: Padre, nelle tue mani mi affido.
La Pietà produce in noi affettuoso e fiducioso abbandono (Rm 8,28). Figli di una cultura della paura, siamo tutti un po’ trepidanti. Non abbiamo umanamente torto, la vita è difficile, i rischi, le insidie sono frequenti, l’inganno purtroppo è molto diffuso. Allora ecco l’abbandono fiducioso, soprattutto di fronte alla sofferenza, che crea in noi tristezza o rivolta. La tristezza è passiva, ma la rivolta è attiva. Ribellarsi, insomma. L’abbandono va al di là di questo. Prima guardo Dio, poi guardo la vita, prima guardo il Padre, come faceva Gesù, e poi vivo la vita che Lui mi dà; non: prima guardo la vita e poi guardo Dio e vedo un po’ cosa succede.
“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, tutto coopera al bene per coloro che hanno una serenità che viene proprio dallo Spirito. Non che non soffrano, ma soffrono in un certo modo tanto da dire: mentre soffro tu mi insegni a vivere.
La Pietà produce in noi cura di tutto ciò che riguarda Dio (Lc 2,22-23), dalle cose più piccole a quelle più grandi, che implicano tutte la stessa missione: impegno per gli altri. Il donare agli altri che cos’è poi se non questo espandersi del cuore? Quante volte non faremmo per noi cose che facciamo per gli altri guardando a Lui? Se mi importa di Dio, mi dono agli altri, mi importa che Dio sia in quel cuore e allora faccio di tutto perché ci arrivi, spendo tempo, risorse, fatica: che sia contento Lui prima di tutto! Gesù è morto perché rendessimo contento il Padre.
La Pietà ci rende cordiali con il Signore e sofferenti a vedere tanta indifferenza: ci dispiace che gli uomini e le donne battezzati non ricordino che Dio è Padre; ci dispiace che abbiano il cuore così freddo; ci dispiace che lo insultino, non ci credano e si disperino. Si patisce, perché Dio merita ben altro.
La Pietà produce in noi senso vivo della Chiesa, gloria di Dio (Lc 10,16). Ci sono state epoche in cui la Chiesa era una struttura, una società molto rassicurante, anche gratificante, in fondo farsi prete poteva essere una condizione elevante dal punto di vista del ruolo sociale. Grazie a Dio siamo liberati da questo fardello; ciò non toglie che la Chiesa possa rimanere comunque un punto di riferimento umano. È pur sempre rassicurante essere Chiesa, ma se la prendi nel senso di un gruppo umano, diventa un nemico di altri gruppi umani. Infatti qualche volta, paradossalmente, si finisce per essere più attaccati alla Chiesa che a Gesù Cristo, tanto che per la Chiesa c’è anche chi insulta un altro, dimenticando il comandamento di Gesù di amare. Il rischio della Chiesa è non essere più capita come gloria di Dio, ma gloria di se stessa.
La pietà ci rende molto attenti a far sì che ci sia carità, trasparenza, bontà, tutte quelle che sono le virtù della Santa Chiesa di Dio. Ci rende attenti perché noi non cerchiamo solo la gloria di Dio, noi siamo gloria di Dio. Dio non si rivela per miracoli e per visioni private, ma attraverso l’icona del suo popolo che siamo noi. Per cui noi siamo veramente gloria di Dio in carne e ossa, visibile, tangibile. Allora è evidente che il mondo ha il diritto di prendersela con noi se ci comportiamo da mondani.
Lo Spirito ti sostiene, fai dunque in modo che la tua pietà, il tuo amare il Padre, sia tale che nella vita semplice chi ti vede sia quasi obbligato moralmente a risalire alla sorgente. La risorsa di Dio siamo noi. I santi hanno sempre fatto così e noi siamo stimolati a fare così. A ognuno di noi tocca questo dovere, e non siamo mai alla fine di questo cammino, ma sicuramente ci teniamo ad essere gloria di Dio, pur con i nostri tanti limiti, in modo che chi ci sente o ci incontra in qualche modo sia riferito a Lui, cioè non veda noi, ma Lui.
La Pietà produce in noi gioia nella condivisione delle cose divine (Sal 132). Si è buoni, si è dialogici, si è contenti di condividere nella pietà comune la gioia delle cose che vengono da Dio. Com’è bello che i fratelli stiano insieme.
Com’è bella la gioia di una liturgia: in quel momento siamo proprio a casa, siamo a casa con il Padre. Come è bello sempre, perché Lui c’è sempre, e questa presenza viva ci fa sentire insieme, vivi, più buoni, meglio disposti.
Quando veramente si vive la verità di quel che si vive, allora si è contenti anche di condividere le cose di Dio fuori dalla liturgia. Non è fare un lavoro qualunque lavorare per Dio, c’è una gioia speciale, c’è un’intesa profonda, sentiamo di star facendo qualcosa che ci supera anche se è la più piccola, modesta, umile cosa. Questo fa respirare l’anima. E ad un certo punto non si riesce a far più niente che non abbia questo tono, anche le piccole cose, anche le cose normalissime; perché stiamo condividendo nella pietà il senso di Dio. Il rapporto con Dio veramente ben vissuto diventa la vita.




I doni dello Spirito Santo: 6. La Pietà
PAPA FRANCESCO

Udienza Generale, Mercoledì, 4 giugno 2014

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Oggi vogliamo soffermarci su un dono dello Spirito Santo che tante volte viene frainteso o considerato in modo superficiale, e invece tocca nel cuore la nostra identità e la nostra vita cristiana: si tratta del dono della pietà.
Bisogna chiarire subito che questo dono non si identifica con l’avere compassione di qualcuno, avere pietà del prossimo, ma indica la nostra appartenenza a Dio e il nostro legame profondo con Lui, un legame che dà senso a tutta la nostra vita e che ci mantiene saldi, in comunione con Lui, anche nei momenti più difficili e travagliati.
1. Questo legame col Signore non va inteso come un dovere o un’imposizione. È un legame che viene da dentro. Si tratta di una relazione vissuta col cuore: è la nostra amicizia con Dio, donataci da Gesù, un’amicizia che cambia la nostra vita e ci riempie di entusiasmo, di gioia. Per questo, il dono della pietà suscita in noi innanzitutto la gratitudine e la lode. È questo infatti il motivo e il senso più autentico del nostro culto e della nostra adorazione. Quando lo Spirito Santo ci fa percepire la presenza del Signore e tutto il suo amore per noi, ci riscalda il cuore e ci muove quasi naturalmente alla preghiera e alla celebrazione. Pietà, dunque, è sinonimo di autentico spirito religioso, di confidenza filiale con Dio, di quella capacità di pregarlo con amore e semplicità che è propria delle persone umili di cuore.
2. Se il dono della pietà ci fa crescere nella relazione e nella comunione con Dio e ci porta a vivere come suoi figli, nello stesso tempo ci aiuta a riversare questo amore anche sugli altri e a riconoscerli come fratelli. E allora sì che saremo mossi da sentimenti di pietà – non di pietismo! – nei confronti di chi ci sta accanto e di coloro che incontriamo ogni giorno. Perché dico non di pietismo? Perché alcuni pensano che avere pietà è chiudere gli occhi, fare una faccia da immaginetta, far finta di essere come un santo. In piemontese noi diciamo: fare la “mugna quacia”. Questo non è il dono della pietà. Il dono della pietà significa essere davvero capaci di gioire con chi è nella gioia, di piangere con chi piange, di stare vicini a chi è solo o angosciato, di correggere chi è nell’errore, di consolare chi è afflitto, di accogliere e soccorrere chi è nel bisogno. C'è un rapporto molto stretto fra il dono della pietà e la mitezza. Il dono della pietà che ci dà lo Spirito Santo ci fa miti, ci fa tranquilli, pazienti, in pace con Dio, al servizio degli altri con mitezza.
Cari amici, nella Lettera ai Romani l’apostolo Paolo afferma: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,14-15). Chiediamo al Signore che il dono del suo Spirito possa vincere il nostro timore, le nostre incertezze, anche il nostro spirito inquieto, impaziente, e possa renderci testimoni gioiosi di Dio e del suo amore, adorando il Signore in verità e anche nel servizio del prossimo con mitezza e col sorriso che sempre lo Spirito Santo ci dà nella gioia. Che lo Spirito Santo dia a tutti noi questo dono di pietà.

 

 

AFFETTIVITA', COMPASSIONE E “PIA” PARTECIPAZIONE

Dopo tutte queste annotazioni che approfondiscono una riflessione sul significato di vivere la pietà come prezioso dono dello Spirito Santo, possiamo ora pervenire ad alcune considerazioni sull’argomento della pia partecipazione nell’azione liturgica.

L'architettura cristiana deve tener conto dell'affettività come forma di comunicazione espressiva per trasmettere l'incontro fra Dio e l'uomo che avviene nella liturgia, nella preghiera, e nell'espressione della vita cristiana come testimonianza in Spirito e Verità.

L'affettività innestata nella pietà cristiana apre il cuore dell'uomo alla compassione cristiana e alla pia partecipazione alla liturgia.

“...Il sentimento è una forma di comunicazione espressiva che consente una piena adesione a Cristo, alla persona di Dio. L'affettività integra l'incontro fra Dio e l'uomo. La coscienza affettiva si esteriorizza in tutta la sua portata attraverso il corpo non considerato come strumento dei sentimenti, bensì come la manifestazione visibile del sentimento. Tutto l'uomo, coscienza incarnata, si apre al mondo grazie al sentimento...” (tratto dall'articolo Principi fondamentali per una teologia spirituale rinnovata, l'esempio di Ch. A. Bernard, di Francesco Asti).

 

ARTE E ARCHITETTURA CRISTIANA COME AFFETTIVITA'

L'arte e l’architettura rappresentano l'amore attraverso le relazioni affettive. L'affettività è il campo specifico dell'arte cristiana, unione di spirito e corpo, forma e materia.

Storia del cristianesimo e storia dell’arte si intrecciano nello spazio e nel tempo in maniera articolata e diversificata riflettendo il pio sentimento di affetto che scaturisce dall’incontro dell’uomo con Gesù, la Parola del Dio Vivente.

Oggi in una civiltà sempre più virtuale diviene essenziale approfondire nell'arte e nell’architettura il campo dell'affettività e della pia partecipazione liturgica.

L'arte e l’architettura cristiana devono ricercare nell'ambito della essenza della affettività e confrontarsi con la relazione affettiva perfetta dell'Amore Trinitario che conduce alla vera pietà, bellezza e armonia.

 


LITURGIA COME TEOPATIA E “PIA” PARTECIPAZIONE


Nella Costituzione del Concilio Vaticano II° sulla sacra liturgia: SACROSANCTUM CONCILIUM, è scritto:

“Il sacrificio eucaristico è sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità. La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli… partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente.”

 

TEOLOGIA – TEOFANIA – TEOPATIA

Padre Amedeo Cencini ha parlato di tre modalità di sviluppare la propria vocazione, di avvicinamento a Dio e alla liturgia.

Con la conoscenza, consapevolezza abbiamo una sintonia con Dio, un approccio teologico.

Con l’azione attiva, le opere, abbiamo una teofania, una sinfonia con Dio, ma avviene come esperienza temporanea.

Con la teopatia, intesa come sapienza-simpatia, abbiamo lo stile di vita trinitario, significa entrare in piena uniformità con la passione di Dio, stessi sentimenti di Dio, passione per la relazione del prossimo, soffrire e gioire come Dio, essere conformi a Cristo, libertà di amare/soffrire/gioire con Dio, pietà cristiana.

 

Riassumendo, per una efficace liturgia è richiesta una partecipazione :

CONSAPEVOLE, ATTIVA E PIA

 

CONSAPEVOLE – teologia – sintonia – conoscenza

ATTIVA – teofania – sinfonia – esperienza temporanea (ogni tanto)

PIA – teopatia – simpatia – stile di vita trinitario

 

PIA – PIENA – FRUTTUOSA ------ PARTECIPAZIONE  significa:

Penetrare il senso dei sacri riti e prendervi parte con tutto il proprio animo in uno stile di vita trinitario, mediante la celebrazione stessa dei sacri misteri e altre pratiche di pietà imbevute di spirito liturgico e mediante uno spazio liturgico affettivo impregnato di teopatia e sincera pietà.

 

Concludo con una citazione di Mons. Renato Corti – Vescovo di Novara sulla necessità di testimoniare piamente e credibilmente Gesù Cristo:

“Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro “vedere” (Novo millennio ineunte,16).
Gesù non è un ricordo, un bell’esempio, ma è la presenza che ci salva.
I santi sono le opere d’arte dello Spirito Santo, uomini e donne che rappresentano il volto di Cristo al vivo. La Chiesa ha urgente bisogno di ripresentare la vita dei santi; di quelli che sono sul calendario e di quelli che vivono in mezzo a noi. E’ stata un’ingenuità colpevole lasciar cadere la conoscenza della vita dei santi non comprendendo così il metodo dell’avvenimento cristiano: l’incarnazione di Cristo.
Sono persuaso che la Chiesa ha bisogno di testimoni, di padri spirituali, di comunità fraterne, di una liturgia bella e semplice e di rileggere le beatitudini.”




lunedì, marzo 28, 2022

La famiglia, Chiesa domestica, a cura dell'Arcidiocesi Bari-Bitonto

 

La Famiglia Chiesa domestica

Arcidiocesi Bari-Bitonto: riflessione a cura dell’Ufficio diocesano per la pastorale familiare
1. Il Risorto in Famiglia

Viviamo questo periodo nell’evento di pandemia e di forzata permanenza a casa. Come cristiani siamo chiamati a cogliere ciò che lo Spirito ci invita a ripensare e mettere in atto in un momento in cui non possiamo ritrovarci materialmente insieme agli altri fratelli della comunità. Il dolore e l’incertezza che tanti fratelli vivono in questi giorni ci conducono a confidare in modo particolare nell’amore che il Signore porta a tutti gli uomini. E’ in Cristo risorto che riponiamo la nostra speranza ed il senso delle nostre giornate.

Il Vangelo ci presenta Gesù che entra in casa piuttosto che aspettare noi nel tempio. “Entrò poi in una casa” (Mt 9,28). Era il suo modo preferito di accostare le persone. Entra in casa di Simone per guarire la suocera: “Usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni.” (Mc 1,29). E a Zaccheo, che dal sicomoro voleva vederlo "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua" (Lc 19,5). Si autoinvita, possiamo dire, con molta determinazione (“devo”, piuttosto che “desidero”): se dovessimo giudicare con le nostre categorie della buona educazione la considereremmo quantomeno eccessiva e poco opportuna. Il dover entrare in casa è una esigenza dell’annuncio, e ciò che ne consegue è scritto più avanti "Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Lc 19,9).

Gesù desidera entrare nelle nostre abitazioni, stare fra le persone, condividere la nostra umanità nelle sue gioie e nelle sue difficoltà, abitare in mezzo a noi “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Abbiamo bisogno di percepire e di toccare con mano questa inabitazione che Cristo ha voluto.

Egli desidera essere presente, è presente nelle nostre case, nelle nostre relazioni, nel quotidiano delle cose semplici di ogni giorno. Fa della nostra casa e della nostra quotidianità la sua dimora, la sua abitazione.

La riflessione spirituale ci dice che gli sposi nell’amore coniugale custodiscono il mistero di Dio, amore trinitario, comunità nuziale. Infatti Dio nella creazione di Adam soffiò il suo essere divino, donò e partecipò alla creatura umana il suo modo di essere, cioè comunione di persone, unità nuziale di tre persone nell’unico essere divino. E così l’uomo possiede dentro il suo essere la sua vocazione: divenire immagine di Dio amore.

“Quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi. Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta. Ed è proprio questo il mistero del Matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza.” (Papa Francesco, udienza del 2 aprile 2014).

Gli sposi dunque sono una icona della Trinità, e la famiglia una agenzia educativa di Dio.

2. La Famiglia Domus Ecclesiae

Paolo ai Corinzi ne dà testimonianza “Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa.” (I Cor 16,19).

“Veniamo così a sapere del ruolo importantissimo che questa coppia svolse nell’ambito della Chiesa primitiva: quello cioè di accogliere nella propria casa il gruppo dei cristiani locali, quando essi si radunavano per ascoltare la Parola di Dio e per celebrare l'Eucaristia. È proprio quel tipo di adunanza che è detto in greco “ekklesìa” - la parola latina è “ecclesia”, quella italiana “chiesa” - che vuol dire convocazione, assemblea, adunanza. Nella casa di Aquila e Priscilla, quindi, si riunisce la Chiesa, la convocazione di Cristo, che celebra qui i sacri Misteri. E così possiamo vedere la nascita proprio della realtà della Chiesa nelle case dei credenti” (Benedetto XVI udienza del 7 febbraio 2007).

Sembra che la Chiesa abiti “nella case”, le quali hanno il volto dell’Amore che crea comunione e si apre al vicino di casa.

L’espressione “famiglia chiesa domestica” è presente nella costituzione conciliare LG 11 perché vuole evidenziare i profondi rapporti che esistono tra la Chiesa mistero grande e la Chiesa famiglia, il “mistero piccolo”, il mistero in miniatura. La famiglia chiesa domestica, che troviamo già in Sant’Agostino (Epistulae, lettera 14 a Doroteo) e in San Giovanni Crisostomo, è una “attuazione specifica della comunione ecclesiale” (FC 21): in essa si impara e si sperimenta la relazione coniugale, genitoriale, fraterna.

Anche il vangelo della risurrezione in Gv 20,19 ci presenta Gesù che viene nella sala alta di una casa e rimane in mezzo a loro soffiando lo Spirito. Genera relazioni piene di benedizione e di armonia, cioè di shalom, facendo di loro una famiglia umana più unita e perseverante, cioè una comunità.

“Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa.” (GS 48).

Il Risorto come andò incontro alla ‘sua famiglia’ chiusa nel cenacolo e donò lo Spirito Santo che diede forza e gioia, così ancora il Risorto va incontro agli sposi, rimane in mezzo a loro e abitando in loro plasma, corrobora, trasforma la loro relazione, alleanza d’amore, in simbolo reale del suo amore per l’umanità e lo rende capace di vivere la vita nell’amore fedele, totale e fecondo (cfr. GS 48).

3. Nazareth, icona della Famiglia Cristiana

Nazareth è il luogo in cui un bimbo, la Parola fatta carne, cresce e cerca di scoprire e sperimentare la vocazione personale, la “volontà del Padre”. Luca ci dà la chiave di lettura della casa di Maria e Giuseppe: “Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui” (Lc 2,39-40).

La famiglia, dove un bimbo incontra adulti e coetanei, è il luogo della ricerca del progetto di Dio, dove si impara a far discernimento, dove ci si fortifica nella virtù della temperanza e della prudenza.

Nazareth è il luogo dove si impara il Vangelo del Regno di Dio, della quotidianità, di relazioni e amicizie semplici ma profonde, dove si impara ad essere “sottomessi” alla legge dello Spirito: l’umiltà, il servizio, la preghiera nello scorrere del tempo feriale, il vivere nella logica del dono, amarsi nella gioia e nel dolore, nella salute e ella malattia. E’ il luogo dell’intimità silenziosa, della comunione che genera l’alterità nella bellezza della complementarietà, che fa crescere l’altro nella sua originalità e lo aiuta a maturare la propria vocazione alla vita.

Nazareth è il luogo della contemplazione e dell’azione. E’ un luogo teologico dove Dio continua a realizzare la salvezza.

Gesù poteva scegliere di nascere in una famiglia sacerdotale o potente dell’epoca, ma ha scelto invece il nascondimento, la ferialità del lavoro quotidiano, la precarietà del lavoro saltuario. A partire da questo luogo privilegiato di poveri e di semplici ha conosciuto il volto misericordioso del Padre.

La casa di Nazareth è il luogo in cui Maria meditava e assimilava nel suo cuore la Parola dell’angelo, ma anche dove Giuseppe insegnava al Figlio, nei ritmi del lavoro, a scegliere il bene, a vivere nella giustizia e a cercare il Santo.

4. La casa, aula di catechesi permanente

La vita coniugale e familiare, vissuta nell’ascolto della Parola e nel servizio d’amore costituisce di per sé un Vangelo in cui leggere il volto di Dio trinità d’amore paziente, gratuito ed eccedente.

“Con questo sguardo, fatto di fede e di amore, di grazia e di impegno, di famiglia umana e di Trinità divina, contempliamo la famiglia che la Parola di Dio affida nelle mani dell’uomo, della donna e dei figli perché formino una comunione di persone che sia immagine dell’unione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’attività generativa ed educativa è, a sua volta, un riflesso dell’opera creatrice del Padre. La famiglia è chiamata a condividere la preghiera quotidiana, la lettura della Parola di Dio e la comunione eucaristica per far crescere l’amore e convertirsi sempre più in tempio dove abita lo Spirito.” (AL 29).

Gesù presente nella vita degli sposi parla, accoglie, perdona e ama nei piccoli grandi gesti di tenerezza, di perdono, di servizio.

Il sacramento delle nozze abilita così gli sposi a divenire “la carne” del Verbo, a dare un volto concreto, ad essere l’immagine, l’icona dell’amore di Gesù per l’umanità.

Il tempo che stiamo vivendo ci obbliga a ripensare la pastorale.

E’ necessario che le coppie degli sposi prendano coscienza nella fede della loro specifica identità e missione. La famiglia cristiana è una “comunità credente ed evangelizzante” (cfr.FC 51).

“Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l'appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, «diventa» ciò che «sei»! Risalire al «principio» del gesto creativo di Dio è allora una necessità per la famiglia, se vuole conoscersi e realizzarsi secondo l'interiore verità non solo del suo essere ma anche del suo agire storico” (FC 17).

Gli sposi dunque pongano Gesù al centro della vita di famiglia, imparando da Lui l’arte dell’amore fedele, umile, generativo di pace, ascoltando e accogliendo Gesù in casa per fare della casa un cenacolo e della mensa di casa un banchetto eucaristico. Nella comunione con Gesù imparino a “lavarsi” i piedi nel servizio reciproco da vivere in casa nello stile di Cristo, divenendo pane spezzato nell’amore per l’altro.

La casa è il luogo umano e divino dove, attraverso le parole delle persone che vi abitano, Gesù si rivela Parola di amore e di misericordia.

I genitori “narrano” l’opera che Dio ha compiuto nella loro vita. Il loro album di famiglia è un memoriale dell’agire di Dio che li ha chiamati ad uscire dal loro io e li ha condotti nell’esodo all’alleanza con Dio. E nel suo amore rivelano che il loro amore nuziale è simbolo reale, è il segno della presenza di Gesù ma è anche lo strumento dell’agire di Dio.

“… la famiglia deve continuare ad essere il luogo dove si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della fede, a pregare e a servire il prossimo. … La fede è dono di Dio, ricevuto nel Battesimo, e non è il risultato di un’azione umana, però i genitori sono strumento di Dio per la sua maturazione e il suo sviluppo. … La trasmissione della fede presuppone che i genitori vivano l’esperienza reale di avere fiducia in Dio, di cercarlo, di averne bisogno, perché solo in questo modo «una generazione narra all’altra le tue opere, annuncia le tue imprese » (Sal 144,4) e « il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà » (Is 38,19). Questo richiede che invochiamo l’azione di Dio nei cuori, là dove non possiamo arrivare. Il granello di senape, seme tanto piccolo, diventa un grande arbusto (cfr. Mt 13,31-32), e così riconosciamo la sproporzione tra l’azione e il suo effetto. Allora sappiamo che non siamo padroni del dono ma suoi amministratori premurosi” (AL 287).

I genitori nella casa ‘aula di catechesi permanente’ insieme ascoltano il Signore e insieme rispondono con la preghiera all’iniziativa di Dio. Dunque i coniugi genitori raccontano ai loro figli il loro cammino di fede rendendo ragione del loro amore e delle scelte di vita conseguenti.

5. La Famiglia aula liturgica, di lode, di ringraziamento

I gesti compiuti da Gesù sono quelli che in famiglia si compiono ogni giorno: il dono di sé, la condivisione, il reciproco servizio.

La famiglia è lo spazio primordiale in cui la “liturgia del rito” si traduce in “liturgia di vita”: la vita di famiglia, se vissuta alla presenza del Risorto e animata dal suo Spirito, è una liturgia quotidiana.

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1).

In famiglia ci sono i riti penitenziali, la liturgia della parola della vita, la preghiera dei fedeli, i riti offertoriali, l’invocazione dello Spirito, lo spezzare il pane, i riti di comunione.

Ogni gesto d’amore familiare vissuto nella fede in Gesù è preghiera.

“E come dal sacramento derivano ai coniugi il dono dell'obbligo di vivere quotidianamente la santificazione ricevuta, così dallo stesso sacramento discendono la grazia e l'impegno morale di trasformare tutta la loro vita in un continuo «sacrificio spirituale» (cfr. 1Pt 2,5; LG 34). Anche agli sposi e ai genitori cristiani, in particolare per quelle realtà terrene e temporali che li caratterizzano, si applicano le parole del Concilio: «Così anche i laici, in quanto adoratori dappertutto santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso» (FC 56).

La famiglia (genitori, nonni, bambini) è chiamata a riscoprire una propria “liturgia domestica” con fantasia e originalità: per es. benedizione dei genitori sui figli, leggere insieme e commentare il Vangelo, raccontare storie di eroi nella fede (i santi), riportare in casa i riti e i colori del tempo liturgico, specie il triduo pasquale.

Gli sposi sono invitati a scandire il tempo in feriale e festivo, tempo del lavoro, del servizio, della preghiera.

La famiglia, costituita dall’alleanza di vita e d’amore degli sposi e dall’impegno morale di generare vita “nel Signore” è un micro cantiere di chiesa dove si incarna nel vissuto feriale il mistero d’amore celebrato nella eucaristia della pasqua settimanale.

Conclusioni

“I due sposi, battezzati singolarmente, con la grazia delle nozze ricevono un dono ed una investitura nuova: sono chiamati a celebrare nella loro relazione questo amore unitivo di Gesù con la Chiesa. È una missione liturgica, nella quale esercitano il loro sacerdozio battesimale dentro il vivere normale di una casa, che diventa Chiesa domestica nella nuova modalità dell'essere una sola carne. La vita diventa una liturgia (lode e salvezza), nel suo scorrere di tutti i giorni. Tentiamo di guardarla proprio nel volto della ferialità, e di guardarla nell'ottica di Gesù che è con gli sposi e negli sposi” (Battesimo e liturgia della famiglia, di mons. R. Bonetti).

Gli sposi, uniti dallo Spirito nel Signore risorto sono dunque domus, dimora del Risorto e sono abilitati ad essere sacramento del suo amore e strumento del suo agire nella storia delle persone della porta accanto, del prossimo.

Le case dei cristiani sono aule liturgiche, sono aule catechistiche, sono cantieri per costruire uomini liberi e responsabili. Sono chiese dove la Parola celebrata si fa carne, dove gli adulti insegnano l’alfabeto dell’amore per la vita.

“Prendiamoci cura, sosteniamoci e stimoliamoci vicendevolmente, e viviamo tutto ciò come parte della nostra spiritualità familiare. La vita di coppia è una partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una permanente provocazione dello Spirito. L’amore di Dio si esprime «attraverso le parole vive e concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale ». Così i due sono tra loro riflessi dell’amore divino che conforta con la parola, lo sguardo, l’aiuto, la carezza, l’abbraccio” (AL 321).



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Fonte : https://www.arcidiocesibaribitonto.it/news/la-famiglia-chiesa-domestica#


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