ARTE LITURGICA
a cura del Centro Aletti, direttore P. Marko I. Rupnik
Secondo l’antica tradizione cristiana, le pareti e il tetto della chiesa non hanno solo la funzione di proteggere dal vento e dalla pioggia, ma hanno un nesso organico con il mistero che vi si celebra. Nell’epoca moderna si è perso questo significato. Spesso, infatti, si crea un “involucro” e poi si comincia a pensare che potrebbe essere una chiesa. Invece, tra la comunità cristiana – che celebra il mistero della salvezza e la signoria di Dio – e le pareti, la costruzione, lo spazio in cui essa si ritrova, ci deve essere un rapporto organico.
Le decorazioni alle pareti dovrebbero far sì che, quando una persona entra in chiesa, percepisca di essere in uno spazio abitato, anche quando è vuoto, perché dovrebbe fare l’esperienza di entrare in una comunione trans-temporale, transpaziale, di cui dopo il battesimo fa parte.
Le due dimensioni dell’arte liturgica
L’arte liturgica fa parte integrante dello spazio in cui si celebra la santa liturgia. Non può essere semplicemente decorazione, ma è elemento costitutivo della liturgia. Per questo bisogna pensare allo spazio liturgico come ad un’unità organica delle arti. Ogni arte deve avere il suo posto nell’insieme delle arti, in relazione alla liturgia che si celebra. La liturgia è un’articolazione della vita interiore e della santità della Chiesa. Per questo l’edificio ecclesiale non può mai essere pensato come qualcosa di statico, piuttosto come qualcosa che è vivificato, non semplicemente vivo. Le arti esprimono questo dinamismo spirituale divino-umano, orientando la Chiesa con tutte le energie verso il punto vivificante che è l’amore trinitario comunicatoci in Cristo. La mente, la psiche, i sensi, tutto è orientato dall’arte verso il punto focale che è Cristo. L’uomo che entra in chiesa dal mondo, dal lavoro, dalle fatiche, dal travaglio della storia, l’uomo frantumato si ricompone, si unifica, anche aiutato dalle arti che coralmente orientano a Cristo, anzi testimoniano la sua presenza. Per questo motivo bisogna avere il coraggio di superare l’abitudine di usare l’arte come decorazione e tanto più come “immaginetta”, ossia per riempire gli spazi vuoti della chiesa. I muri, i celebranti e l’assemblea, tutto fa parte di un unico scenario spirituale. Gli elementi liturgici, le immagini, i colori, il canto, il movimento, tutto va fatto in maniera che il confine tra l’oggi e l’eterno, tra il personale e il comunitario, tra il soggettivo e l’oggettivo sia continuamente varcato.
Poiché la nostra cultura è ormai decisamente impostata come una cultura dell’immagine, del movimento e del colore, è indispensabile che si recuperi la grande sapienza dell’inculturazione della fede nell’arte, affinché la Chiesa anche oggi si ripresenti come bellezza che affascina e attira. Florenskij diceva che la verità rivelata è l’amore e l’amore realizzato è la bellezza. La bellezza è allora un mondo penetrato dall’amore, cioè la comunione. Ciò che è veramente bello è la Chiesa, perché è la comunione delle persone, la comunità.
I secoli passati sono stati segnati dall’importanza del concetto e della parola, ma oggi è l’immagine l’elemento chiave della nuova era, e la liturgia è l’ambito per eccellenza per riscoprire l’immagine, il colore, il movimento, il gesto, la materia, la luce, i profumi, nei loro significati più autentici e più profondi.
Nella liturgia, la Chiesa celebra Cristo che si comunica come Signore e Salvatore. La liturgia dischiude il mistero di Cristo nella sua verità oggettiva, cioè al di là dei nostri gusti, sentimenti, stili e percezioni. Allo stesso tempo, ogni cristiano vive una relazione del tutto personale con Cristo e lo accoglie e gli si affida in modo del tutto unico. Per questo la liturgia è segnata anche dalla cultura del luogo, del tempo, dai gusti delle persone e dalla percezione soggettiva.
Sono due elementi inseparabili: quello dell’oggettività, che supera il tempo e affonda nella memoria e nella sapienza della Chiesa, nella santa Tradizione, e quello della soggettività, del tutto nostra, che appartiene al tempo, al luogo dove il popolo di Dio celebra il Signore e la propria salvezza.
Queste due dimensioni della liturgia cristiana, che sono inseparabili, in qualche modo devono anche costituire l’arte per la liturgia. L’arte liturgica, per essere veramente tale, ha dunque queste due dimensioni inseparabili che di per sé costituiscono la liturgia come tale:
un’oggettività del mistero che stiamo celebrando, cioè l’oggettività di Cristo come Salvatore, nostro Signore. Quando, attraverso la liturgia, viene comunicata la salvezza alla comunità che celebra, si tratta di una salvezza oggettivamente appartenente a Cristo, oggettivamente realizzata da Cristo, e dunque si tratta di una realtà non solo come io la penso, la sento, la percepisco. Questo significa attingere alla memoria viva, sapienziale della Chiesa, alla Tradizione, cioè a questa sapienza spirituale, a Cristo stesso che attraverso i secoli vive nel suo corpo che è la Chiesa;
una dimensione cultuale, dove l’uomo è il soggetto che riceve, accetta, recepisce, accoglie e anche esprime il suo riconoscimento di Dio, di Cristo, della salvezza. E’ allora una dimensione più soggettiva, più segnata dalla cultura, dalle coordinate storico-geografiche in cui ci si trova, pur riconoscendo che nessuna cultura può identificarsi del tutto con l’oggettività del mistero divino-umano che stiamo celebrando. Queste due dimensioni vengono difatti assunte da ciò che teologicamente può significare la persona. La persona è una realtà che supera il binomio oggettivo-soggettivo. La persona come realtà teologica, sottolinea la dimensione agapica che da un lato è del tutto personale, inconfondibile e dall’altro si realizza nelle relazioni libere che in qualche modo oggettivizzano l’amore stesso. Nella liturgia difatti avviene proprio questo mistero: del personale e del comunitario.
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Fonte: ARTE LITURGICA - Centro Aletti
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