Governo del territorio e Dottrina sociale della Chiesa: pianificare per il bene comune
di Martino Mazzoleni
Governare il territorio attraverso la pianificazione dello spazio fisico è compito fondamentale delle autorità politiche per garantire un ambiente sano, i servizi fondamentali per la collettività, una coesistenza pacifica, la qualità della vita delle persone. La dottrina sociale della Chiesa richiama ripetutamente le istituzioni ad orientare lo sviluppo economico e a ricercare armonia, coesione e giustizia con scelte libere da interessi particolari e finalizzate allo sviluppo integrale della persona.
Pianificazione e governo del territorio
Nel corso della storia, la teoria del planning ha visto alternarsi diversi paradigmi dominanti, a partire dal modello razionalista, che predicava un processo decisionale efficientista e tecnocratico (Faludi, 1973), fino alla frammentazione del panorama teorico dell’urbanistica post-moderna. Oggi l’approccio prevalente alle decisioni di pianificazione si fonda su una governance aperta agli stakeholder e alla partecipazione del pubblico (Couch, 2016, 296). Ciò ha implicato il graduale abbandono di un’urbanistica intesa come attività direttiva, appannaggio dell’autorità pubblica, a favore di una programmazione strategica capace di delineare scenari di lungo periodo per i territori, catalizzando idee e progettualità dagli attori pubblici, privati e sociali. Approccio divenuto noto come “governo del territorio”.
Sul piano sostantivo, nel tempo la pianificazione – a seconda dei modelli teorici e delle letture più o meno ideologizzate del concetto di sviluppo – ha sostenuto obiettivi quali l’espansione residenziale, lo stimolo alla competitività dei territori, la deregulation, fino ad abbracciare, nei decenni recenti, l’imperativo della sostenibilità declinata in termini di contrasto all’espansione urbana e progettazione di spazi vivibili e green (ivi, 53).
Gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa
Il buongoverno degli spazi di vita è indissolubile dallo sviluppo della persona umana, «che di natura sua ha assolutamente bisogno d’una vita sociale» (Gaudium et spes, 1965, 25) e, pertanto, vive in contesti collettivi, con le loro contraddizioni e conflitti. La pianificazione ha proprio la funzione di mediare i conflitti, inerenti all’uso del territorio, tra aspirazioni individuali ed esigenze collettive, tra crescita economica e tutela dell’ambiente (Couch, 2016, 297).
Paolo VI ha lamentato «i tristi ammassamenti delle periferie» (Octogesima adveniens, 1971, 8) e Francesco «la smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili» a causa dell’inquinamento ambientale, «visivo e acustico», «il caos urbano» e «i problemi di trasporto […]. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri […] congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto […] privati del contatto fisico con la natura» (Laudato si’, 2015, 44).
Se lo sviluppo non deve mirare primariamente al benessere socio-economico (Gaudium et spes, 64; Sollicitudo rei socialis, 1987, 46), bensì al «raggiungimento dei fini ultimi della persona» e «il bene comune universale dell’intera creazione» (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 2004, 170), allora il governo dello spazio fisico può fornire un importante contributo. Esso deve rispettare quelle «esigenze del bene comune» quali «la salvaguardia dell’ambiente» e «la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell’uomo: […] abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute» (ivi, 166).
Quali obiettivi perseguire?
Partendo da questi principi, sul piano operativo le scelte di pianificazione degli spazi fisici possono ispirarsi ad indicazioni della dottrina sociale quali:
• aree per l’edilizia residenziale pubblica o cooperativa, per fornire «un’abitazione decente e a prezzo accessibile» (Octogesima adveniens, 11) a chi non possa entrare nel libero mercato della casa;
• mantenere aree industriali per contribuire a scongiurare lo spostamento delle attività lavorative, con i conseguenti «problemi sociali» connessi alla «disoccupazione» e «mobilità delle persone» (ivi, 9);
• spazi verdi e aree naturali, che non possono essere appannaggio di pochi privilegiati (Laudato si’, 45);
• spazi pubblici per «ricostruire, a misura della strada, del quartiere, o del grande agglomerato, il tessuto sociale in cui l’uomo possa soddisfare le esigenze della sua personalità» (Octogesima adveniens, 11). In particolare, «centri di interesse e di cultura […] circoli ricreativi, luoghi di riunione […] in cui ciascuno, sottraendosi all’isolamento, ricreerà dei rapporti fraterni” (ivi), nonché luoghi per il tempo libero «per distendere lo spirito, per fortificare la salute dell’anima e del corpo» mediante lo svago e lo sport, «che giovano a mantenere l’equilibrio dello spirito, ed offrono un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni» (Gaudium et spes, 61).
La Laudato si’ raccomanda anche obiettivi qualitativi: la coesione delle aree urbane e la salvaguardia del carattere dei luoghi con i propri riferimenti culturali e paesaggistici, che «accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa”» (151). La qualità della vita dipende anche da questi fattori e può essere compromessa dalla «riduzione dell’ampiezza visuale» e la «perdita di valori culturali» (184) che scelte pianificatorie poco accorte possono produrre. È inoltre «importante che le diverse parti di una città siano ben integrate e che gli abitanti possano avere una visione d’insieme invece di rinchiudersi in un quartiere» e riescano a «vivere la città intera come uno spazio proprio condiviso con gli altri» i quali, in tal modo, «cessano di essere estranei e li si può percepire come parte di un “noi” che costruiamo insieme» (151).
Il ruolo dei poteri pubblici
Per raggiungere tali obiettivi, la pianificazione è il metodo giusto? Nella teoria come nelle prassi, è un dilemma antico quello tra l’assicurare «il libero esercizio dell’attività economica» (Compendio, 351), compresa quella in campo urbanistico ed edilizio, e il promuovere l’intervento pubblico per mitigare i fallimenti del mercato e «garantire una distribuzione equa di alcuni beni e servizi essenziali alla crescita umana dei cittadini» (ivi, 353). La Chiesa chiama i governanti a «scegliere, o anche […] imporre gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi; tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune” (Populorum progressio, 1967, 33). Spetta alle autorità politiche definire e orientare «la direzione dello sviluppo economico» (Compendio, 353), «pianificare, coordinare, vigilare e sanzionare», ma altresì «incoraggiare le buone pratiche, per stimolare la creatività che cerca nuove strade, per facilitare iniziative personali e collettive” (Laudato si’, 177).
Lo Stato deve garantire «coesione, unitarietà e organizzazione alla società civile di cui è espressione, in modo che il bene comune possa essere conseguito con il contributo di tutti i cittadini», armonizzando «con giustizia i diversi interessi settoriali» (Compendio, 168 e 169). Pertanto, poiché «spetta all’autorità farsi arbitra, in nome del bene comune, fra i diversi interessi particolari» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1997, 1908), «il potere politico deve sapersi disimpegnare» da essi «per considerare attentamente la propria responsabilità nei riguardi del bene di tutti» (Octogesima adveniens, 46). Nel governo del territorio, ciò significa scegliere senza essere guidati – pur senza ignorarle – dalle aspettative di vantaggi privati, come quelli generati da cambi di destinazione urbanistica dei suoli e dalla concessione di potenzialità edificatorie significative.
Al contempo, le istituzioni «devono aver cura di associare» alla regolazione dei rapporti economici «le iniziative private e i corpi intermedi, evitando in tal modo il pericolo d’una collettivizzazione integrale o d’una pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà […] escluderebbero l’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana” (Populorum progressio, 33).
Quanto agli strumenti da utilizzare, il Magistero fornisce indicazioni, che di seguito si espongono, circa tre dimensioni essenziali dei processi di policy, coerenti con alcuni dei fondamenti della teoria e pratica urbanistica contemporanea.
La regolazione degli usi del suolo
Oggetto precipuo della pianificazione, essa incide direttamente sul diritto alla proprietà privata. La funzione sociale della proprietà è stata al centro di molte riflessioni della filosofia e della dottrina giuridica ed è presente nel diritto costituzionale di molti paesi (Davy, 2020). La Chiesa afferma che la proprietà possiede intrinsecamente «una funzione sociale, fondata e giustificata […] sul principio della destinazione universale dei beni» (Sollicitudo rei socialis, 42), che è il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale» (Laborem exercens, 1981, 19). Giacché tra i beni sono compresi quelli «della natura» (ibidem), vi si possono includere i suoli. Il governo dei suoli è centrale per la questione dell’equità dell’accesso alla terra e della lotta alla povertà alimentare (cfr. voce Accesso alla terra), specialmente in un periodo in cui terreni, edifici, interi quartieri sono divenuti asset dei mercati finanziari, mantenuti vuoti in funzione di investimenti speculativi e risparmio anziché per offrire una casa a chi ne ha bisogno (Davy, 2020). La dottrina contempla strumenti di regolazione della proprietà tradizionalmente usati dalla pianificazione: i «vincoli» sull’uso dei beni «da parte dei legittimi proprietari» quali la definizione delle funzioni urbanistiche ammissibili e i limiti all’edificabilità, e gli incentivi per «non tenere inoperosi i beni posseduti» e «destinarli all’attività produttiva» (Compendio, 178).
Analisi, conoscenza e decisione
Uno dei cardini delle scienze del planning è l’approccio interdisciplinare alla progettazione urbana (Faludi, 1973). Oggi i vari saperi sono chiamati a collaborare in un’ottica di disegno del territorio e dei rapporti che vi insistono, e non più di un intervento top-down finalizzato al semplice azzonamento urbanistico. Pertanto, è essenziale «che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa» (Compendio, 469), specialmente quando è in gioco «un mutamento significativo nel paesaggio, nell’habitat di specie protette o in uno spazio pubblico» (Laudato si’, 184). Occorre «l’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani» (ivi, 141) e dei «comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza» nel progettare manufatti e territori, «perché ha ancora più valore servire […] la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco» (ivi, 150).
La partecipazione pubblica al processo di pianificazione
Distaccatasi dalle logiche tecnocratico-razionalistiche del passato, la teoria contemporanea raccomanda politiche partecipate e riflessive (Couch, 2016, 53-4), «pensate e dibattute da tutte le parti interessate» (Laudato si’, 183). Esse sono entrate nelle pratiche urbanistiche in molti contesti, offrendo esempi virtuosi (Venti et al., 2016) che hanno consentito di riallacciare rapporti di fiducia tra decisori e cittadini e progettare insieme lo sviluppo del territorio.
Per il Magistero è essenziale la partecipazione dei cittadini, singoli o associati, all’elaborazione delle scelte. Si tratta di «un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti […] in vista del bene comune«, favorendo «la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati» per «evitare che si instaurino privilegi occulti» a favore di pochi (Compendio, 189). È dunque «importante che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca sempre all’analisi della pianificazione urbanistica» (Laudato si’, 150), informando tutti «sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità», ed è «sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative», nonché consentire «azioni di controllo o monitoraggio» (ivi, 183).
Conclusioni. La funzione imprescindibile della politica
La Chiesa insegna che, «in conformità alla natura sociale dell’uomo, il bene di ciascuno è necessariamente in rapporto con il bene comune» (Catechismo, 1905). Questo «non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto«, ma è «di tutti e di ciascuno […] perché indivisibile» (Compendio, 164). Strettamente connessa con le «esigenze del bene comune» è la promozione integrale della persona (ivi, 166), che è inscindibile dal governo dei luoghi della sua vita.
La politica non può abdicare al suo ruolo di guida, stimolo, sussidio dell’iniziativa individuale per progettare città e territori resilienti di fronte alle sfide del cambiamento climatico, delle crisi sanitarie, dei cambiamenti demografici e della globalizzazione. Sebbene per un decisore politico sia arduo e sovente poco gratificante, in termini di consenso popolare, cercare di contemperare le aspettative dei singoli con il bene della collettività, la politica deve servire il bene comune «non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare» (ivi, 167).
I risultati della pianificazione si realizzano in tempi lunghi, che collidono con la logica dell’immediatezza della politica, dettata dai tempi brevi dei cicli elettorali nei quali i decisori desiderano legittimamente mostrare ai cittadini il frutto del proprio impegno. Qui si gioca la responsabilità del politico nell’esercitare la sua libertà di decisore pubblico. «La grandezza politica si mostra quando […] si opera sulla base di grandi princìpi e pensando al bene comune a lungo termine» (Laudato si’, 178). Studiosi, urbanisti e decisori pubblici non possono, da soli, «determinare priorità macro-politiche» o cambiare i modelli economici dominanti (Couch, 2016, 298). Tutti, però, possono trarre proficue indicazioni da un Magistero che annuncia per quale fine governare il territorio, cioè il bene comune e lo sviluppo integrale dell’uomo, ne suggerisce i modi – illustrati sommariamente in questa voce – e chiama i cristiani a «prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli», dal locale al mondiale, «per cercare di realizzare insieme il bene della città» (Octogesima adveniens, 46).
Bibliografia:
• Couch C. (2016), Urban Planning. An Introduction, Palgrave Macmillan.
• Davy B. (2020), ‘Dehumanized housing’ and the ideology of property as a social function, «Planning Theory», 19(1), 38-58.
• Faludi A. (1973), Planning Theory, Pergamon Press.
• Venti D., Angelini R., Agostini A. (2016) (a cura di), Percorsi partecipativi nella progettazione e nella pianificazione. Metodi, esperienze, strumenti, INU Edizioni.
Autore: Martino Mazzoleni, Università Cattolica del Sacro Cuore (martino.mazzoleni@unicatt.it)
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Fonte: Dizionario di dottrina sociale della Chiesa www.dizionariodottrinasociale.it/Voci/Governo_del_territorio_pianificare_per_il_bene_comune.html