mercoledì, aprile 30, 2025

Il grande sogno di Gaudì: glorificare Dio, di Maria Antonietta Crippa


Il grande sogno di Gaudì: glorificare Dio

di Maria Antonietta Crippa




Ieri mattina, 14 aprile 2025, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, per la promulgazione di decreti riguardanti nuovi santi e beati. Tra altri ha autorizzato il decreto che riconosce venerabile, per virtù eroiche, Antoni Gaudì i Cornet (1852-1926), il grande catalano autore di molti progetti d’architettura, il più noto dei quali è la basilica della Sagrada Familia in Barcellona, tuttora in costruzione in uno stadio molto avanzato. È festa per coloro che hanno riconosciuto la sua umanità e i suoi eccezionali talenti: è festa per chi coordina, dirige e gestisce il multiforme cantiere, uno dei più straordinari, complessi e moderni, d’Europa; è festa per chi vi lavora guidando le altissime gru nel trasporto di pietre già modellate, o rifinendole con inserti di colorati mosaici, sia stando a terra che negli innumerevoli spiazzi che i ponteggi formano a diverse altezze.

È un momento di gioia per tutti, perché la Chiesa ha riconosciuto che un uomo ha vissuto eroicamente i propri rapporti umani e le proprie giornate di lavoro, ha trafficato eroicamente i propri talenti, ne ha fatto strumenti di una speranza di compimento delle capacità umane secondo il progetto di Dio. Sono molte le sue opere, sia civili che religiose. Alcuni studiosi ritengono suo capolavoro il Parco Güell, altri le sue Case, come Batllò e Milà o Pedrera, altri il Palazzo Güell, altri ancora la cripta della chiesa rimasta incompiuta nella Colonia di Santa Coloma de Cervellò, non lontano da Barcellona. Sono moltissime e tutte diverse le sue realizzazioni riconosciute e di grande pregio, spesso inserite nel movimento del modernismo, variante iberica dell’art nouveau europea. Ma lo storico Juan Bassegoda ha raccolto tracce innumerevoli di molte altre opere di disperse, come altari di chiese, arredi e e cori liturgici e piccole fabbriche sparse in giardini e parchi.

La grande incompresa, almeno per ora sul versante di gran parte della critica contemporanea, resta paradossalmente la Sagrada Familia, alla quale egli si è dedicato senza riserve per lunghi anni concentrandovi il meglio della propria consapevolezza liturgica e teologica, delle proprie invenzioni costruttive, del proprio senso del vivere entro e a favore della storia di un popolo, quello catalano segnato da dolorose tensioni sociali e ricco di umanità vibrante delle bellezze semplici della natura, del mare, delle montagne di Montserrat, della sua terra d’origine: il Camp di Tarragona e la città di Reus.




Ma è proprio in questa “cattedrale”, nelle evoluzioni del suo progetto, nella ideazione e realizzazione dei suoi cicli scultorei, nel raccoglimento che gli si impose come necessario per poter realizzarne una parte sufficiente a far comprende le logiche figurative, simboliche e costruttive messe a punto - in disegni e modelli - per chi ne avrebbe completata la costruzione, che è possibile cogliere la maturazione della sua religiosità e riscontrare il crescere in lui delle virtù teologali: fede, speranza e carità. Impossibile qui dettagliarle, ma ci restano volumi, anche in italiano, che raccontano lo scorrere di una vita lineare e semplice, ricca soprattutto di intensa e sofferta interiorità, che ce li fanno cogliere.

Aveva accettato nel 1883 di dirigerne il cantiere ritenendo di perseguire la più grande e la più gloriosa delle imprese, con l’orgoglio tipico di un architetto - colto e raffinato - che si concepiva “creatore”. Nell’umiltà più radicale, trent’anni dopo, arrivò a chiedere la carità per la sua prosecuzione; negli ultimi anni si immerse totalmente nella contemplazione di una Gerusalemme celeste che egli già vedeva, alla quale avrebbe potuto conformarsi la sua chiesa, posizionata nel terreno allora periferico dell’ampliamento urbano dell’architetto Cerdà, se qualcuno avesse assunto l’impresa temeraria di continuare un cantiere che non aveva paragoni. Gaudì era certo che sarebbe accaduto.

Molti amici, ecclesiastici e non, importanti e umili, gli restarono vicini, molti giovani studenti d’architettura lo frequentarono affascinati dalla sua capacità di immaginare. Amava partecipare assiduamente alle celebrazioni liturgiche, stare con tutti in processione, spiegare il proprio progetto. Mi disse una volta un sacerdote catalano di nome Ballarin, Gaudì era un piccolo uomo con un grande, gigantesco sogno: dare gloria a Dio non da solo, ma con tutto il suo popolo.




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lunedì, aprile 28, 2025

San Francesco patrono dell'ecologia, di fra Antonio


San Francesco patrono dell'ecologia

di fra Antonio
(frati minori cappuccini Toscana)




Con la bolla Inter sanctos del 29 novembre 1979 (stesso giorno e mese in cui Papa Onorio III nel 1223 la Regola bollata dei frati monori), Papa Giovanni Paolo II proclamava san Francesco d’Assisi patrono dell’ecologia, o meglio dei “cultori dell’ecologia”.

Il tema della difesa del creato ha all’interno della Chiesa radici lontane. In Genesi troviamo l’uomo, in stretta relazione col suo Creatore, posto nello splendido giardino che Dio aveva creato “perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). Questi due verbi, presi dall’ambiente agreste, non solo prevedono per l’uomo un prendersi cura per il mantenimento della creazione (custodire), ma anche che si prodighi affinché progredisca, cresca, arrivi a una maturazione, a un compimento e porti frutti (coltivare).

San Francesco nella Creazione vedeva l’immagine riflessa del Creatore. Come in uno specchio contemplava in ogni essere l’anelito di amore e bellezza che l’aveva originato. Tutto ciò che esisteva lo portava a lodare il Dio Onnipotente, quale Padre amorevole che si prende cura dei suoi figli. Tale disposizione d’animo si ravvisa chiaramente nell’episodio della predica agli uccelli, dove il santo esorta i volatili a lodare Dio con queste parole:

“Fratelli miei uccelli, dovete lodare molto il vostro Creatore e amarlo sempre, perché vi diede piume per vestirvi, ali per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di spaziare nell’aria limpida: voi non seminate e non mietete, eppure egli vi soccorre e guida, dispensandovi da ogni preoccupazione.” (Tommaso da Celano, Vita prima, n. 58, in Fonti Francescane [= FF] 424).

L’episodio della predica agli uccelli “non ha una motivazione apologetica (come la predica ai pesci di sant’Antonio), ma è soltanto la prova estrema dello spirito di fratellanza che lega Francesco a tutte le creature, al punto che ritiene suo dovere parlare anche agli uccelli, come agli uomini, dell’amore di Dio.” (FF, p. 686, nota 88, a cura di F. Olgiati e D. Solvi).

Questo ‘spirito di fratellanza’ è ancor più evidente nel Cantico delle Creature (cf FF 263), citato nella bolla di Giovanni Paolo II e che ha ispirato il titolo dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Nel Cantico il santo leva la sua lode al Dio Altissimo con, in, per e attraverso tutte le Sue creature (il «cum tutte le Tue creature» del quinto rigo del Cantico può avere tutte queste significanze). È talmente forte tale ‘spirito’ che nella parte finale Francesco arriverà a chiamare sorella addirittura la morte.

Ogni realtà creata accende nell’animo del santo il desiderio di innalzare la lode al Creatore e di invitare gli ascoltatori a fare altrettanto: «Laudate e benedicete mi’ Signore e rengraziate e serviteli cum frande humilitate». La peculiarità di san Francesco non sta nell’esaltare in se stessa la natura, proclamandone le virtù e utilità, ma nel rimando costante al suo creatore nel quale ogni cosa trova la sua ragione esistenziale, la sua motivazione, il suo compito, il suo posto. Tutto è utile e buono, sempre e solo in riferimento a Colui che ha fatto tutto ciò che esiste.

Su uno sperone di roccia, poco sopra il nostro Eremo di Montecasale, c’è una statua in bronzo intitolata a “S. Francesco Patrono dell’Ecologia”, recante sopra tale titolo anche la frase del Cantico “Laudato sii mi Signore”. La statua è opera dello scultore fiorentino Antonio Berti, inaugurata il 31 agosto 1980 (nove mesi dopo la bolla Inter sanctos). Pensiamo che possa essere la prima in assoluto del santo d’Assisi con tale titolo. Il colpo d’occhio che si offre al visitatore dal luogo della statua è molto suggestivo: la val tiberina sottostante si apre spaziosa alla visuale, mentre lo sguardo e la postura del monumento sono rivolti al cielo, in piena armonia con lo spirito del Cantico di san Francesco. Dopo ottocento anni, il santo patrono d’Italia e dell’ecologia ancora suscita ammiratori e simpatizzanti, e in luoghi di pace come Montecasale, chiama ognuno a innalzare lo spirito per incontrare quel “mi’ Signore” che tutto rinnova e rigenera nell’amore a nuova vita.



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