ROMANO GUARDINI: I SANTI SEGNI
Santificazione di spazio e tempo nella liturgia e nel tempio cristiano
di Guidalberto Bormolini
«Viviamo in un mondo di segni ma abbiamo perduto la realtà da essi significata»1. Questa considerazione di Romano Guardini si riferisce in modo particolare alla simbologia dello spazio sacro -il tempio cristiano- e del tempo liturgico. Dall'epoca in cui un'architettura cristiana e una vera e propria liturgia poterono svilupparsi osserva il nostro autore- l'edificio di culto e le sue singole parti andarono via via arricchendosi di significati simbolici. Rari erano, in questi due ambiti, gli elementi che non rimandassero a un significato più profondo. La venuta di Cristo nella storia sembrava doversi celebrare costruendo qualcosa che santificasse il tempo e lo spazio: le dimensioni della storicità in cui il cristianesimo stesso è incarnato. L'edificio di culto, il tempio cristiano, e il tempo liturgico, sono i due strumenti di cui la Chiesa si è servita per ottenere questa santificazione. Queste realtà sono rimaste profondamente radicate nella coscienza individuale e collettiva della cristianità fino ai tempi moderni. Nuove filosofie e nuove scoperte hanno lentamente svuotato di significato questo desiderio di santificazione che nell'antichità aveva saputo creare opere meravigliose. La modernità ha dato il via a un vero e proprio "disfacimento", dice Guardini2. A causa di questo disfacimento i "segni" del tempio e della liturgia sono stati spesso privati del loro significato, pur continuando a circondare la nostra esistenza. Le epoche passate invece seppero conservare un legame tra il segno e la realtà, allora il segno conservava la sua efficacia immediata, agiva direttamente sul popolo di Dio. Sono cose che ognuno ha potuto verificare nella propria esperienza personale. Basti pensare, nel campo dell'architettura, alla profondità delle chiese romaniche e alla maestosità delle cattedrali gotiche, che ancora oggi sono capaci di lasciarci a bocca aperta: «Nelle sue cattedrali [del Medioevo] noi sperimentiamo con penosa vergogna l'immensa superiorità di quest'epoca che solo la presunzione illuministica ha potuto chiamare oscura»3. La perdita di senso denunciata dal nostro autore ha inciso talvolta negativamente sulla stessa liturgia e sulla costruzione dell'edificio sacro. Romano Guardini si è sentito ferito da questa realtà "svuotata" e ha voluto ritornare alle fonti, ravvivare i "santi segni" che vedeva sviliti. In questo modo si è riallacciato all'antica tradizione rinnovandola e riattualizzandola per la nostra epoca. Non si tratta di attaccarsi a un tradizionalismo vuoto che desidera ripetere pedissequamente ciò che è stato già fatto. L'antichità stessa non ci ha dato questo esempio, evolvendosi continuamente in forme originali, eppure sempre inserite nell'alveo di un unico fiume che, pur restando lo stesso, porta acque sempre nuove. Nella sua opera I santi segni Guardini ha saputo far rivivere il pensiero cristiano tradizionale in un linguaggio più attuale. Riepilogando in modo sintetico alcuni concetti della tradizione sulla santificazione dello spazio e del tempo, vedremo come essi sono ancora vivi e presenti nel pensiero di Romano Guardini.
1. Mondo materiale e mondo spirituale
La tradizione cristiana si è sempre opposta alle concezioni dualistiche: non ha mai voluto contrapporre in modo radicale il mondo materiale -negativo- alla realtà dello spirito. La stessa tradizione, in campo antropologico, considera l'uomo spirito incarnato, motivo per il quale si ritiene che anche il corpo sia coinvolto nel cammino verso la Salvezza4. Fondati in questa tradizione, molti Padri ritenevano che la portata dell'evento salvifico di Cristo fosse tale da coinvolgere tutto il cosmo, che si evolve insieme all'uomo. Il cosmo stesso infatti è una manifestazione di realtà invisibili che possono rimandare direttamente a Dio, insegnamento fondato sull'autorità dell'Apostolo: «Paolo...ci dimostra che questo mondo visibile ci fa conoscere il mondo invisibile [Cfr. Rm 1,20] e che questa nostra terra posta in basso contiene immagini di realtà celesti: così da ciò che è in basso possiamo salire a ciò che sta in alto e da ciò che vediamo in terra possiamo avere conoscenza e comprensione di ciò che sta nei cieli»5. In epoca patristica era diffusa la concezione di un mondo unitario, di una realtà spirituale strettamente collegata a quella materiale. Questo aiuta anche a comprendere la reale portata dell'edificio sacro e della liturgia, che nella concezione antica erano realtà veramente in collegamento con i relativi corrispondenti spirituali; attraverso queste realtà materiali si poteva avere accesso a quelle superiori. Massimo il Confessore scrive:
Il mondo è uno...Infatti il mondo spirituale nella sua totalità si manifesta nella totalità del mondo sensibile, ed è misticamente espresso mediante immagini simboliche, per coloro che hanno occhi per vedere. E tutto intero il mondo sensibile lascia segretamente trasparire tutto l'intero mondo spirituale, semplificato e unificato per mezzo delle essenze spirituali...Così parla l'Apostolo divino: Fin dalla creazione del mondo, le cose invisibili di Dio sono contemplate dall'intelletto attraverso le creature [Rm 1,20]. Se attraverso le cose visibili sono contemplate le cose invisibili, in misura molto maggiore le cose visibili sono approfondite attraverso le invisibili da coloro che si dedicano alla contemplazione. Infatti la contemplazione simbolica delle cose spirituali attraverso le cose visibili non è altro che la comprensione, nello Spirito, delle cose visibili attraverso le invisibili6.
Lo stesso pensiero si è tramandato fino a san Bernardo di Chiaravalle che commentando san Paolo (Rm 1,20) dice: «Questo mondo sensibile è come un libro aperto a tutti e legato da una catena così che vi si possa leggere la sapienza di Dio, qualora lo si desideri»7. Vi è quindi una sapienza interna al cosmo che bisogna saper penetrare. Però, dicevamo, l'intero creato ha bisogno di crescere e partecipare alla crescita dell'umanità, alla quale è in qualche modo collegato: «A causa della cattiveria [degli uomini] la terra è stata maledetta»8. Ma se il creato ha sofferto molto a causa nostra, pensa il Crisostomo, «non è stato trattato ingiustamente, poiché diventerà di nuovo incorruttibile a causa nostra»9. E' compito quindi dell'uomo contribuire alla santificazione completa del cosmo, attraverso le sue dimensioni fondamentali: lo spazio e il tempo.
2. La santificazione dello spazio
L'edificio sacro fin dalla più remota antichità è stato lo strumento privilegiato per la santificazione dello spazio. Il Cristianesimo ha voluto che la chiesa, il luogo di culto, non fosse un semplice edificio funzionale alla riunione dei fedeli. Sin da quando si cominciarono a edificare veri e propri luoghi per il culto liturgico -a partire dal termine delle persecuzioni imperiali- questi ebbero caratteristiche ben precise che mostrano la volontà di inserire e orientare il tempio nella realtà cosmica che lo circonda. L'edificio sacro è cosmico nel senso che è fatto a imitazione del mondo. «La chiesa è l'immagine del mondo»10, dice san Pier Damiani. Questo concetto non si riferisce solo al fatto che negli edifici antichi si usava rappresentare, sui muri e sulle colonne, il cielo e la terra, gli animali e le piante, il lavoro dell'uomo e le stagioni. Si intende che il tempio «è ancor di più un'immagine "strutturale", che riproduce la struttura intima e matematica dell'universo»11. Non a caso infatti l'edificio di culto è "orientato", perché segue la struttura del cosmo stesso, ordinato su due assi. Si tratta di un costume veramente antico, come testimoniano le Costituzioni Apostoliche che imponevano l'orientazione delle chiese verso l'Est12. Questo era l'orientamento della preghiera: «Considerato che vi sono quattro punti cardinali, il Nord, il Sud, l'Occidente e l'Oriente, chi non riconoscerà immediatamente che l'Oriente significa con tutta evidenza che dobbiamo pregare verso questo lato che è il simbolo dell'anima rivolta verso l'alzarsi della vera Luce?»13, vera Luce che è Cristo. Nelle chiese copte le quattro pareti hanno quattro ingressi che sono espressamente identificati nei quattro punti cardinali14. Anche nelle chiese bizantine le quattro parti in cui è diviso l'interno della chiesa simbolizzano i quattro punti cardinali. L'interno della chiesa è l'Universo. L'altare collocato a Est è il Paradiso. Il lato opposto, l'Occidente, simboleggia il mondo delle tenebre. Il percorso che il cristiano compie nella chiesa simboleggia quello della sua esperienza religiosa: dalla tenebre alla luce. Secondo lo storico delle religioni M. Eliade: «in quanto immagine del Cosmo la chiesa bizantina incarna e al tempo stesso santifica il mondo»15. Le stesse figure di base dell'edificio sacro avevano un preciso significato simbolico di carattere cosmico. Le due figure geometriche principalmente utilizzate per l'edificio sacro sono il quadrato (o il rettangolo che ne è uno sviluppo) e il cerchio. Jean Hani spiega che «il cerchio è la forma del cielo, in particolare dell'attività del cielo, strumento dell'Attività Divina che regola la vita sulla terra di cui la figura è un quadrato perché, relativamente all'uomo, la terra è in qualche modo immobile, passiva e offerta all'attività del cielo»16 . Quindi il tempio cristiano rappresenta spazialmente anche l'alto e il basso, la terra e il cielo, che simbolicamente sono l'inizio e la meta della crescita spirituale. Clemente Alessandrino afferma che da Dio, “cuore dell'Universo”, partono tutte le estensioni: le quattro direzioni orizzontali, l'alto e il basso: «Dirigendo il suo sguardo verso queste sei estensioni come verso un numero sempre uguale, Egli porta a termine il mondo; Egli è l'inizio e la fine; in Lui si compiono le sei fasi del tempo, e da Lui queste ricevono la loro estensione indefinita: questo è il segreto del numero Sette»17. Il rapporto del cerchio col quadrato, della sfera col cubo, sono appunto il fondamento dell'antica architettura sacra cristiana. La cupola appoggiata sulla navata rappresenta il cielo "appoggiato" sopra la terra e questa è la ragione per cui spesso le cupole erano dipinte di blu e disseminate di stelle. In pianta, la navata che termina con l'abside circolare, oppure il portale sormontato dall'arco, o il ciborio, hanno lo stesso significato18. L'edificio sacro appare quindi come il luogo dove terra e cielo si incontrano, il tabernacolo di Dio tra gli uomini, come ben ci illustra san Massimo il Confessore nel suo Poema su Santa Sofia di Edessa:
E' cosa davvero mirabile che, nella sua piccolezza [questo tempio] sia simile al vasto mondo... Ecco che la sua copertura è tesa come i cieli: senza colonne, incurvata e chiusa; e inoltre [essa è] ornata da mosaici d'oro come il firmamento lo è da stelle brillanti. Ed ecco che la sua cupola elevata è comparabile al cielo dei cieli. E, simile ad un elmo, la sua parte superiore riposa solidamente su quella inferiore. I suoi archi, vasti e splendenti, rappresentano le quattro parti del mondo; assomigliano inoltre, per la varietà di colori, all'arco glorioso delle nuvole19.
In conclusione, la chiesa, essendo una croce cardinale orientata e centrata, posta come simbolo del collegamento tra cielo e terra, santifica continuamente il mondo poiché essa lo rappresenta e lo contiene: «Essa è l'omphalos [ombelico] della città sulla quale splende, come la cattedrale è l'omphalos della diocesi, la primaziale quello della nazione e la basilica pontificia quello dell'universo»20.
3. La santificazione del tempo
Quanto abbiamo visto sopra nell'ordine spaziale vale anche nell'ordine temporale. Le realtà dello spazio e del tempo sono infatti strettamente collegate tra loro. Ad esempio l'orientamento del tempio sulle quattro direttrici dei punti cardinali lo fa corrispondere contemporaneamente alle quattro divisioni dell'anno: le stagioni. All'Est corrisponde la primavera, al Sud l'estate, all'Ovest l'autunno e al Nord l'inverno21. Inoltre, le grandi cattedrali medievali hanno in ogni lato tre porte, che nella parete absidale sono sostituite da tre grandi vetrate. Ognuna delle dodici aperture corrisponde a un segno dello zodiaco, ogni gruppo di tre a una stagione22. Anche l'ordine delle vetrate sui quattro lati è studiato in maniera tale da risultare in armonia con il ritmo solare che scandisce il trascorrere della giornata23. Le stesse figure di Cristo e degli apostoli nella tradizione primitiva erano collegate a un simbolismo temporale: Cristo è il giorno e gli apostoli le dodici ore del giorno, oppure Cristo il Sole e gli apostoli i dodici segni dello zodiaco24 . Ma lo strumento privilegiato per la santificazione del tempo è la liturgia. Come tutto lo spazio è sintetizzato nell'edificio sacro che diventa la sintesi del cosmo, così il tempo viene completamente compreso nel Tempo liturgico. Il rito «trasforma il tempo profano, il tempo dell'uomo peccatore, in un tempo sacro che è già virtualmente al di là del tempo»25. Ciò che il rito dovrebbe operare nell'individuo è la sua elevazione al di sopra del tempo, dandogli la capacità di operare una ricapitolazione della storia del mondo, dalle origini alla fine. Questo è possibile, come dice Cirillo di Gerusalemme, «per mezzo dello spirito di profezia, cioè dell'intelligenza spirituale della storia [con cui] l'uomo, malgrado la sua esiguità, vede l'inizio e la fine del cosmo e il circolo del tempo e la successione degli imperi»26. Lo spirito profetico, che è potenziale carisma di ogni cristiano, mette l'uomo in una prospettiva temporale tutta particolare, lo libera dal tempo. Questo avviene soprattutto nel momento liturgico "riattualizzando" la vita di Cristo. In un certo senso l'anno liturgico è riattualizzazione continua della Sua vita che può portare a una rigenerazione spirituale del fedele. Attraverso la ripetizione del rituale l'uomo diventa in qualche modo contemporaneo di Cristo, è progressivamente incorporato ai suoi misteri. La santificazione del tempo è stata infatti operata in primo luogo dal Verbo in forza del mistero dell'incarnazione: l'Infinito si è inserito fin nel suo opposto più lontano, il finito, assumendone tutte le condizioni, tra le quali il tempo. La liturgia annuale può divenire quindi un "sacramento del tempo"27, dando a questo il significato nuovo che gli ha attribuito la manifestazione del Verbo e permettendo così all'uomo di riscattarlo.
4. Alcuni valori simbolici del tempio e della liturgia nella tradizione
Proviamo ad illustrare il valore simbolico attribuito ad alcuni "segni" del tempio evitando quelli, come l'altare, il cui valore simbolico è certo più noto.
La scala
Nella concezione tradizionale l'idea della crescita spirituale è sempre rappresentata come una crescita "verso l'alto". Sono vari i simboli che vogliono rappresentare questo cammino dell'uomo verso il cielo: il pilastro, la colonna, l'albero, la montagna, oppure la scala28. Il simbolismo della scala era già noto nell'Antico Testamento a partire da Giacobbe. Quando ad Harran gli apparve in sogno la scala che portava al cielo, sulla quale gli angeli salivano e scendevano, udì il Signore che dall'alto gli diceva: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo!». Allora si risvegliò pieno di paura e gridò: «Quanto è terribile questo luogo! Qui è proprio la casa di Dio, questa è la Porta del Cielo!» (Gn 28,12). La scala quindi rappresenta sia la via di accesso alla "porta dei cieli", sia la comunicazione di Grazia dal cielo verso la terra29. La tradizione mistica insegna infatti che il cammino spirituale è segnato da alcune tappe precise, ben espresse dall'idea dei gradini della scala: sono i cosiddetti gradi della crescita30. Nell'edificio sacro quindi i gradini, sia quelli prima del portale, che rappresenta l'accesso a un mondo superiore, sia quelli davanti all'altare, cuore del tempio cristiano, vogliono avere questo significato. Secondo Evdokimov la consacrazione stessa del tempio «lo trasforma in luogo specifico della teofania...in montagna santa, in centro cosmico e scala di Giacobbe»31. Il tempio in sé era quindi visto come una scala che conduce ai regni celesti.
La porta
La sacralità del passaggio e della porta era evidenziata, nel simbolismo architettonico, da una sorta di "guardiani della soglia": statue di arcieri, draghi, leoni o sfingi. Lo spazio consacrato del tempio caratterizza una certa superficie: «la separa dall'area profana, la purifica»32 . L'ingresso in questo santo recinto simboleggia qualcosa di prodigioso: attraverso la porta si passa da un mondo a un altro. Il portale infatti diviene un riassunto di tutto il tempio33, ma il tempio stesso nel suo insieme è una porta che si apre sul cielo di Dio34. Il portale raffigura sinteticamente il tempio sia per la sua funzione, sia attraverso la sua forma geometrica: è composto da un rettangolo sormontato da un arco a rappresentare il punto di incontro tra terra e cielo. Il significato cosmico del portale è evidenziato dalle decorazioni che lo contornano: molto spesso vi sono rappresentate le stagioni, coi relativi mestieri, o i segni dello zodiaco35. Altro motivo simbolico, spesso riportato nel timpano, è quello del Cristo, Sole di Giustizia36, affiancato da san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista, le cui feste cadono appunto nella vicinanza dei solstizi37. Attraversarlo simboleggia il nostro passaggio a una vita nuova, come osserva P. Evdokimov: «L'uomo vecchio muore alla soglia del tempio, mentre l'uomo nuovo, risuscitato con Cristo, entra e sta nel tempio della Gloria»38. La porta infatti è Cristo stesso: «Io sono la Porta da cui entrano le pecore...Io sono la Porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10, 7-9). Una bella preghiera di Guglielmo di Saint-Thierry suggerisce il senso mistico di questo attraversare la porta: «Oh!, tu che hai detto: "io sono la Porta", mostraci di quale dimora sei la Porta, in quale momento e a chi Tu la apri. La Casa di cui Tu sei la Porta è il Cielo che abita il Tuo Padre»39 .
L'acquasantiera
Abbiamo visto sopra come entrare nell'edificio sacro non fosse un gesto "qualsiasi", ma coinvolgesse in profondità la persona. Per poter penetrare in questo mondo sacro l'uomo deve subire una mondatura, una sorta di battesimo. Segnarsi con l'acqua benedetta dell'acquasantiera riattualizza, in un certo qual modo, il rito dell'iniziazione cristiana40. Per questa ragione, in origine, l'acquasantiera, che spesso era una vera e propria fontana, era posta all'esterno della chiesa, affinché la purificazione precedesse l'ingresso nel tempio. Fino a tempi relativamente recenti era molto spesso a forma di conchiglia per ricordare il significato rigeneratore dell'acqua benedetta. Le grandi conchiglie, al pari della vasca, richiamano l'utero e, come tutto il simbolismo acquatico, l'idea di purificazione e rinascita. Infatti per sant' Efrem il Siro e san Macario la conchiglia e la perla evocano direttamente il battesimo41 . La forma dell'acquasantiera ha quindi lo scopo di sottolineare l'efficacia del rito, rievocando quell'"utero della generazione" che è il Sacramento del Battesimo come lo definisce Dionigi lo pseudo-areopagita42. L'acqua è un simbolo di rinascita ben noto e immediato nella nostra tradizione. Tertulliano scrive che l'acqua è stata «il trono dello Spirito divino che la preferì allora agli altri elementi...Questa prima acqua partorì la cosa vivente per cui non vi è da stupirsi se nel battesimo le acque producono ancora la vita»43. Infatti l'uomo vecchio muore immergendosi nell'acqua e dà vita a un nuovo essere, viene rigenerato, come nell'efficace immagine di san Giovanni Crisostomo: «Quando tuffiamo la nostra testa nell'acqua come in un sepolcro, l'uomo vecchio è immerso, interamente sepolto; quando usciamo dall'acqua, compare simultaneamente l'uomo nuovo»44. Affinché l'atto di accedere al tempio santo possa avere la sua efficacia anche sul piano spirituale è necessaria una purificazione che ci permetta di aprire gli occhi, di essere coscienti. Un gesto fatto col dovuto atteggiamento può operare fin nell'intimo del fedele.
Le campane e i campanili
Originariamente le chiese non avevano campanili; quando cominciano ad apparire torri a fianco degli edifici sacri, queste non sono costruite per ospitare campane45. Hani ipotizza quindi che il campanile possa inserirsi nel simbolismo cosmico generale cui abbiamo accennato. Si tratterebbe ancora una volta del cubo sormontato dalla cupola, «potendo la cupola assumere la forma di una piramide a sei oppure otto facce, che è una delle fasi del passaggio dalla sfera al cubo»46 . Per le sue caratteristiche il campanile, così slanciato verso l'alto, potrebbe simboleggiare l'idea del collegamento tra terra e cielo, cioè il percorso graduale che l'uomo deve compiere nella sua crescita spirituale altrove rappresentato dal simbolo della scala47. Il simbolismo medievale, rifacendosi anche alle visioni descritte dal Pastore di Erma, vedeva invece nelle torri un simbolo della Chiesa stessa oppure un'immagine di Maria48. Alla campana è sempre stata attribuita una particolare sacralità che non può essere giustificata da una semplice funzione utilitaristica. Il rito di installazione è analogo a quello del battesimo di un bambino o a una consacrazione: viene fatta una purificazione con acqua benedetta e un esorcismo, una purificazione con l'incenso, un'unzione con l'olio e infine l'imposizione di un nome e della veste bianca49. La funzione della campana può quindi essere più ampia del semplice richiamare i fedeli; il suo risuonare ha il carattere di un suono sacro: richiama le benedizioni divine, respinge l'attacco dei demoni, allontana tempeste e uragani. Alcune preghiere antiche recitano: «Mentre la sua voce sale al cielo, la protezione degli Angeli discenda sulla tua Chiesa»; «Che schiacci le potenze dell'aria. Che le loro forze tremino sentendo questo suono, che fuggano davanti al segno che abbiamo tracciato su questa campana»50 . Un'altra pratica era quella di tracciare sulla campana invocazioni o preghiere, come l'Ave Maria, confidando che poi, col suo risuonare, l'invocazione sarebbe stata diffusa nell'aria. Il suono della campana in questo modo avrebbe contribuito a santificare l'aria e così lo spazio circostante51.
5. La contemplazione del segno
Questi temi rivivono in Guardini in modo del tutto originale. Secondo l'autore la comprensione della realtà dei segni non può partire da uno studio storico che mostri le origini di un determinato rito o preghiera, così come esclude la strada di un commento che spieghi il significato dei diversi riti deducendolo da concetti astratti. Infatti «nella liturgia non si tratta precipuamente di concetti, bensì di realtà. E non di realtà passate bensì di realtà presenti...»52. Perciò il metodo d'indagine della realtà liturgica deve essere adeguato alla realtà stessa che è «un mondo di vicende misteriose e sante divenuto figura sensibile: ha perciò carattere soprannaturale»53. L'unico mezzo per entrare in un mondo misterioso e santo è l'esperienza, personale, intima: questo è il metodo scelto da Guardini. Ma la comprensione è possibile se all'inizio del cammino si impegna in modo deciso la propria volontà. Riferendosi al cristiano primitivo, Guardini afferma che «egli aveva una profonda comprensione del mondo, resa possibile però anzitutto da una forte ascesi»54. Per l'autore si tratta di penetrare all'interno del mondo materiale per scoprire nella sua profondità la forza spirituale che lo sostiene, altrimenti si percepiscono i segni per mezzo di "un arido pensare" che li contempla come semplici oggetti appesi tutt'intorno senza percepirne l'intimo palpitare.
6. La potenza del nome e del gesto
Approcciarsi alla liturgia per mezzo di questo arido pensare genera inevitabilmente un arido parlare e agire: «Diciamo delle larve di parole; compiamo delle ombre di azioni»55. La gravità di questo svuotamento è chiarita nella sua reale portata solo se si comprende il significato profondo della parola, del Nome. L'autore cerca in vari modi di mostrare la forza del nome, facendone l'oggetto della sua attenzione ovunque questo si manifesti in un senso più pieno di quello svilito a cui l'uomo moderno è abituato, indagando anche fra le usanze tradizionali e perfino nella magia56. Basterebbe però pensare al fatto che nella Sacra Scrittura «il Nome di Dio si identifica con il Santo-Esistente stesso»57, ragion per cui il nome ha una sua potenza evocatrice che rimanda direttamente a ciò che esso vuole esprimere, rende questo Esistente in qualche modo presente come una realtà. In questo senso si capisce il significato dell'espressione del Salmo, «Il nostro aiuto è nel Nome del Signore» (123, 8), perché il Nome «è esso stesso la vivente potenza di Dio»58. Una forza paragonabile può avere il Nome nella vita dell'uomo. Secondo Guardini è proprio a questo che si riferiscono alcune parole della seconda delle sette lettere che, nell'Apocalisse, Cristo indirizza alle comunità della provincia d'Asia: «Al vincitore darò... una pietra bianca, e sulla pietra è scritto un nome nuovo, che nessuno sa all'infuori di chi lo riceve» (Ap 2, 17). Questo nome nuovo diventa una cosa sola con la persona vivente59, la trasforma: «Questo nome è il suggellamento d'un evento creativo: "Ecco faccio nuove tutte le cose", dice Dio sempre nell'Apocalisse (21, 5)»60. Infatti non significa «l'espressione di qualche cosa che c'è già; piuttosto rivela il compimento della grazia»61. Dal momento che la persona vivente conosce la reale potenza del Nome, comincia a custodire nell'intimo una forza segreta: «Questo nome è protetto. "Nessuno lo sa", solo Dio e lui, lui in Dio»62. Il silenzio è l'unico luogo in cui si può custodire la parola perché conservi la sua efficacia: «Se per avventura una parola sgorga dal fervore del cuore, tutta piena di sangue e di forza, in pochi giorni i giornali e le chiacchere della gente ne prendono possesso, la sbiadiscono a luogo comune, la rendono scipita fino alla nausea»63. In fin dei conti per Guardini il vero significato del Nome "è un mistero" e per rimarcarlo, sentendosi costretto a parlarne, egli vuole concludere con queste parole: «Così dunque anche tutto ciò che qui è stato detto va pronunziato con quel ritegno che s'addice al parlare d'un tale mistero»64 . Una portata simile a questa ha il gesto, che rimanda anch'esso a una realtà più profonda, nasconde una sua relazione più intima con le realtà spirituali: «Siamo consapevoli di quello che facciamo quando stringiamo la destra a qualcuno? Ci è chiaro che noi gli diamo la nostra fiducia, la nostra anima? Se lo sapessimo lo faremmo con minor frequenza. Ma così tale atto è una vera formalità, che solo di rado è compenetrata di realtà spirituale...»65. Il gesto, come il Nome, può manifestare una realtà spirituale e renderla presente, efficace, anche sul piano materiale.
7. Il mondo dello spirito
Vittima dello svuotamento del segno, di cui tanto appassionatamente parla Guardini, è tutta la civiltà contemporanea e la vita religiosa è l'ambito nel quale l'effetto di questo svuotamento è più terribile66. Precisamente in questo ambito il segno dovrebbe rimandare direttamente alle realtà più profonde e più vive. Dove questo non avviene si finisce per vivere in un mondo di illusioni scambiandole per la realtà, e la cosa diventa particolarmente grave perché può ledere il mondo stesso della fede che è «vita in un mondo di realtà invisibili»67. Quando Guardini si esprime in questi termini non intende le realtà invisibili in modo generico: vuole riferirsi non a sogni e illusioni, ma, in concreto, alle presenze spirituali che circondano chi percorre il cammino di fede. Il nostro autore è sconcertato dall'incredulità che, certi pensatori, manifestano a questo riguardo, come scrive:
Ci si stupisce sempre che, a spiegazione del pensiero biblico, si adducano tutti i motivi possibili, salvo i più ovvi. Vale a dire: se persone di un certo rango religioso, come i maestri dell'Antico e del Nuovo Testamento, per non dire Gesù stesso, parlano degli angeli, lo fanno per la semplice ragione che gli angeli esistono. Lo hanno sperimentato e questa esperienza attesta la realtà; allo stesso modo che un discorso sulle aquile si basa sul fatto che la gente ha visto delle aquile con i suoi occhi. Suona strano che un dotto del XIX o XX secolo, che forse non ha mai fatto esperienze religiose, né sta nella autentica tradizione religiosa, voglia giudicare cosa significhi quando la Genesi o Isaia o Gesù stesso parlano degli angeli. E' bene ricordarsi di tanto in tanto delle gerarchie dello spirito...68.
Scorrendo il testo de I santi segni una cosa appare subito con evidenza: la ricorrenza continua, insistente, del termine "mistero". Di ogni realtà Guardini sembra presupporre un aspetto misterioso, spirituale, ai più impercettibile, di cui non si può parlare esplicitamente se non se ne è fatta esperienza. Ciò che l'autore desidera comunicare col suo scritto non sono concetti, ma esperienze, con la speranza che il lettore desideri a sua volta viverle nella propria vita.
8. Iniziati a una vita nuova
Come si può guarire dallo svuotamento della vita religiosa di cui si diceva sopra? Non occorre "inventare" cose nuove, ma rivolgesi alle "profondità essenziali" da cui scaturiscono le grandi parole della Chiesa. Una volta discesi nella profondità si attinge direttamente alla fonte di queste realtà e si può finalmente dire che i nostri occhi si sono aperti. Non ci si ferma alle apparenze, ma si comincia a vedere «la realtà che dietro di esse giace»69. Allora con una coscienza e una vista rinnovate si potrà sopportare l'urto di questo mondo che giganteggia dinanzi a noi e farlo penetrare nella nostra esistenza quotidiana, incominciando quella vita nuova di cui parla san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: «Quindi se uno è in Cristo è una creatura nuova» (2 Cor 5, 17). Si tratta di un cambiamento sconvolgente che può lasciare persino sconcertati e muti, tanto raggiunge l'uomo in profondità: «Chi lo sperimenta appare spesso scontroso, perché non può più scialare a chiunque ciò che per lui ha un significato così profondo; deve apparire come un originale, perché prende sul serio cose che nessuno più avverte; perché vede problemi che da tempo sono svaniti nella cecità di tutti gli occhi»70. Questa "vita rinnovata" ridonerà allora la propria forza al Nome, alla parola e al gesto perché questi torneranno a essere in immediata relazione con le realtà che dietro ad essi giacciono. Allora l'esistenza stessa dell'uomo farà trasparire quella luce intensa alla quale egli avrà imparato ad attingere.
9. I segni del tempio e della liturgia in Guardini
Per aiutare il lettore a penetrare il senso profondo della liturgia e dei simboli dell'edificio sacro, Guardini lo vuole guidare attraverso la sua stessa esperienza personale di questi "santi segni". Ne abbiamo scelti alcuni, corrispondenti a quelli già analizzati nella tradizione della Chiesa, di cui daremo un'illustrazione più ampia. Ci pare comunque interessante riportare l'elenco dei gesti e degli oggetti, pur non trattandone in modo esteso, perché la scelta di Guardini ci è parsa significativa e permette di inquadrare meglio il nostro tema:
Il segno della croce
La mano
Lo stare in piedi
L’inginocchiarsi
L’incedere
Il battersi il petto
I gradini
La cenere
L’incenso
Il cero
La fiamma
Luce e calore
Il portale
L’acqua benedetta
Pane e vino
I lini
La benedizione
Le campane
L’altare
Il calice
Spazio santo
Tempo santificato71.
10. I gradini
Non vi è nulla di più semplice e abituale che salire dei gradini. Eppure «nelle cose più semplici si nasconde il più grande mistero»72. Si salgono in varie occasioni, per infinite volte, senza accorgersi che «avviene qualcosa in noi quando ascendiamo»73. Infatti non sale solo il piede: tutto il nostro essere è coinvolto, anche spiritualmente. Può sembrare una cosa banale, eppure l'insistenza di Guardini sul "mistero" insito in questo salire, il termine "mistero" riferito alla scala e ripetuto continuamente in sole tre paginette, fanno pensare che si tratti di qualcosa di più. L'autore vuole infatti prevenire questa obiezione: «E che cosa ha a che fare il diventare migliori con l'ascendere materiale? Che cosa ha a che fare "l'essere puro" con lo "stare in alto"?». A questa domanda non ci può essere una risposta "concettuale"; infatti si tratta di una realtà che «non si può spiegare ulteriormente»74. Scaturisce dall'intima esperienza dell'uomo la comprensione che «il salire ci parla dell'ascesa del nostro essere all'"Altissimo", a Dio. Non lo possiamo spiegare, però è così»75.
11. Il portale
Ancora una volta ci si trova di fronte a un segno che lo sguardo superficiale non può cogliere. Si direbbe che un portale serve solo “perché si entri e se ne esca”. Eppure il portale parla. L'atto di entrare può ancora una volta coinvolgere nell'intimo, proiettare in un mondo spirituale, far penetrare in quel mondo di "realtà invisibili" che popola la vita del fedele. Fuori si lascia un mondo bello in cui però è mescolato "qualcosa d'odioso, di basso". Oltre il portale, "il santuario". La scelta stessa del luogo, per la cristianità antica, ha avuto un'importanza particolare, non era mai casuale. «Gli uomini fin dall'inizio hanno saputo che luoghi determinati sono in modo particolare consacrati, riserbati a Dio»76. Non tutto lo spazio è omogeneo, esistono dei luoghi santificati da una Presenza particolare. Entrare nel santuario equivale a mettersi di fronte a questa Presenza: si passa da un mondo "terrestre" ad un mondo "celeste". E il portale avverte chi entra: «Tempio di Dio è questo, e una similitudine di te stesso. Poiché tempio del Dio vivente sei proprio tu, il tuo corpo e la tua anima. Rendilo ampio, rendilo limpido ed elevato!»77.
12. L'acqua benedetta
Di nuovo il termine più ricorrente è "mistero". «Misteriosa è l'acqua»78. Contiene in sé un grande mistero perché evoca «i fecondi abissi da cui sgorga la vita»79. Eppure è potenza ambigua, contiene forze che vanno dominate o possono ritorcersi contro l'uomo, infatti vi è «in essa qualcosa di magico...Chi non ha percepito questo aspetto non sa cos'è la natura»80. Guardini è convinto che tutta la natura è permeata di forze misteriose che possono essere benefiche, neutrali o nemiche, e così l'acqua: E queste non sono parole vuote! Chi possiede un'anima sensibile ha già percepito l'incanto della forza naturale che può sprigionarsi dall'acqua. E questa è semplicemente potenza della natura? O non è qualcosa di oscuro, di extra-naturale?... La città intontitrice delle anime ha reso l'uomo ottuso al punto ch'egli spesso non ha più senso per questo81. Per mezzo della benedizione l'acqua viene purificata e rivolta al suo uso più santo, fino a diventare «il simbolo e il veicolo della vita divina, della Grazia»82. Il fonte battesimale per mezzo dell'acqua sacramentale diventa «grembo della fecondità celeste»83, fa nascere a una nuova vita, fa diventare uomini nuovi. Quando si varca la soglia del tempio, segnandosi con l'acqua benedetta, bisogna capire che si rinnova l'esperienza battesimale e ci si bagna «con l'acqua pura e purificante, affinché l'anima...diventi monda»84.
13. Le campane
Il santuario cristiano delimita uno spazio santo e lo distingue dallo spazio circostante. Ma questo spazio è in qualche modo collegato col santuario? Certamente, per mezzo del campanile: «Dalla casa di Dio il campanile si drizza nella libera atmosfera e ne prende per così dire possesso per conto di Dio»85.
Da questa santa torre vengono diffuse ovunque per l'aria le vibrazioni delle campane di bronzo: «Il suono delle campane trasporta di nuovo fuori, nella vastità del mondo che viene santificato a partire dal tempio»86. Il tempio è il centro da cui parte la santificazione di tutto il territorio circostante. A partire da questo centro la santificazione non si diffonde solo con la vibrazione sonora, ma anche con tutti gli altri mezzi che la tradizione ha insegnato: «Lo spazio consacrato viene dilatato per mezzo delle processioni, delle rogazioni, dei pellegrinaggi»87.
14. Lo spazio santo
Lo spazio naturale in cui esistiamo ha un suo ordine, le sue direzioni, non è un caos. Così anche lo "spazio soprannaturale", al quale quello naturale è collegato, «ha un ordine che è radicato nel divino mistero»88. La chiesa, che è specchio di questo ordine, «è orientata da Occidente verso Oriente, verso il sorgere del sole...Cristo è infatti il sole del mondo sacro»89. La disposizione dell'edificio sacro, il suo collegamento col cosmo, lo può rendere un vero organismo "vivente": «uno spazio disposto in un certo modo, pieno di vita, anzi esso stesso vivo, un'essenza spaziale che pulsa e respira»90. Solo un essere realmente "vivente", capace di usare tutti i suoi "organi di senso", compresi quelli interiori, può cogliere il pulsare dell'edificio sacro: Tutto questo però sorge solo quando un uomo sensibile entra nella cattedrale e rimanendovi, camminandovi o guardando o respirando, intende intorno a sé con gli occhi, la testa e il petto, con la sensibilità di tutta la sua figura, il continuo e silenzioso crescere, ergersi e gravare, formarsi e inarcarsi, racchiudere e rivelare, celebrare e tripudiare91. La liturgia, nei suoi movimenti, si orienta all'interno di questo spazio vitale che Guardini vede espandersi in tre direzioni con una sorprendente similitudine alla visione di san Clemente Alessandrino. Tali sono le direzioni dello spazio santo: Verso il sole sorgente che è Cristo. Qui si dirige lo sguardo del credente; di qui penetra nel nostro cuore il raggio della luce divina. E' la grande orientazione dell'anima e la linea della discesa di Dio. Da Nord a Sud, da dove la tenebra si volge alla luce che irradia dalla parola divina. E questo viene dall'ardenza del cuore per illuminare e riscaldare. E infine dal basso verso l'alto: è il movimento dell'anima nell'anelito, nella preghiera, nell'offerta dalle profondità della propria miseria al trono dell'altissimo Iddio92.
15. Il tempo santificato
Con l'avvento della civiltà odierna si è verificata anche una profanazione del tempo: l'uomo non ha più saputo mettersi in armonia coi cicli del cosmo. «Si sovvertirono gli ordinamenti dell'esistenza. I ritmi naturali del giorno e della notte e delle stagioni non furono più seguiti. Gli spazi non furono più percorsi dallo sguardo e non furono più permeati spiritualmente»93. Eppure la nostra stessa anima risente nella sua esistenza terrena di ogni movimento del cosmo e deve permeare di senso spirituale ogni cosa che la riguarda. La nostra anima è collegata al tutto: «"Grande destino è quello dell'anima", dice San Bonaventura con i maestri di spiritualità del Medioevo. "Essa è preordinata a che tutto il mondo sia raffigurato in essa"»94. Allo stesso modo dell'anima, la liturgia è capace di comprendere in sé tutta la realtà, fin nei suoi strati più profondi: «La liturgia è integralmente realtà...Essa abbraccia tutto quanto esiste: angeli, uomini, cose. Tutti i contenuti e tutti gli avvenimenti della vita. Ogni realtà: la naturale afferrata dalla soprannaturale; la creata dall'increata»95. Diventa allora determinante l'azione della liturgia per mezzo della quale «si compiono le azioni sacre "secondo il tempo", comprese nella pienezza delle articolazioni temporali con i loro ritmi di anno e stagione, settimana, giorno e ora»96. Ogni ora del giorno ha infatti una sua tonalità propria, però sono tre i momenti più significativi: l'alba, il tramonto e il mezzodì. Alba e tramonto ci inseriscono simbolicamente in un ciclo di morte e risurrezione che sono continuamente richiamati da questi due momenti: l'alba è «il mistero della nascita che si rinnova ogni mattina”, mentre la sera “anch'essa ha il suo mistero: il mistero della morte»97. Il mezzogiorno invece si colloca tra queste due rappresentazioni dello scorrere del tempo e significa la staticità dinamica dell'eterno presente. «E' una sosta nel mero presente. E il suo sguardo si spinge nell'immensità -no, non s'affissa affatto nello spazio o nel tempo: si spinge nell'eternità»98. Il sole splendente del mezzogiorno libera da questo divenire dei due poli opposti e proietta nell'eternità: «L'eternità infatti parla sì ad ogni ora; a mezzodì essa però ci è vicina...Il mezzodì è puro presente, la pienezza del giorno»99.
16. Conclusione
«Noi uomini siamo divenuti grossolani. Di molte cose delicate e profonde non sappiamo più nulla»100 . Questa dura constatazione potrebbe sembrare pessimistica se letta fuori del suo contesto. E' vero: l'uomo moderno spesso vive in modo grossolano, in un mondo reso tale dai suoi gesti, ma soprattutto dai suoi pensieri. Il mondo limitato che circonda l'uomo moderno è frutto degli orizzonti limitati che egli stesso si è costruito. L'uomo moderno è convinto che esista solo ciò che egli crede che esista, perdendo così un'infinita varietà di realtà che lo circondano, lo superano, risiedono nel suo intimo e attendono il suo risveglio per mettersi in moto. Ma la constatazione di questa "decadenza" non spegne la speranza. Occorre prendere coscienza che, all'opposto di quanto spesso viene insegnato, la realtà supera di molto la fantasia, perché «lo spirito è reale, anzi lo è in grado ancora superiore alla materia»101. Occorre solo immergersi a capofitto in questa realtà con la consapevolezza che si tratta di una realtà primariamente spirituale e desiderare ardentemente di essere guidati in questa dal Suo Aiuto. E questo non potrà mancare. Romano Guardini ha voluto introdurre il lettore nel viaggio attraverso questi "segni" con parole che ci paiono significative e che vogliamo riproporre a conclusione come augurio per chi vuole immergersi nella realtà dello Spirito: «Racconterò, come mi capita, ciò che mi è successo. E così come l'ho visto io, vedilo tu, meglio, più precisamente, più chiaramente; e buona fortuna»102.
Note:
1 R. GUARDINI, I santi segni, Brescia 1996, p. 117.
2 R. GUARDINI, Formazione liturgica, Milano 1988, p. 51.
3 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , p. 50.
4 Cfr R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , cap. II: Anima e corpo, pp. 21-44.
5 ORIGENE, Commento sul Cantico dei Cantici III, 2, 9.
6 MASSIMO IL CONFESSORE, Mistagogia, 2.
7 BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermo de diversis, 9, 1
8 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi 27, 4.
9 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera ai Romani 14, 5.
10 SAN PIER DAMIANI cit in J. HANI, Il simbolismo del tempio cristiano, Roma 1996, p. 29.
11 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 29.
12 Costituzioni apostoliche II, 57, 3.
13 ORIGENE, La preghiera 23. Origene tra l'altro, a chi dice di preferire rivolgersi verso il lato aperto della parete per poter vedere il cielo, risponde che «pur aprendosi le dimore degli uomini per convenzione, verso questa o quella parte del cielo, siccome per natura l'oriente eccelle sulle altre parti, occorre anteporre quello che è per natura a quello conforme ad una convenzione» (Ibidem).
14 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 30.
15 M. ELIADE, Storia delle idee e delle credenze religiose III, Milano 1996, p.69.
16 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 32.
17 CLEMENTE ALESSANDRINO cit. in J. Hani, Il simbolismo cit. , p. 52.
18 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 36.
19 Cit. in G. CHAMPEAUX -S. STERCKX, I simboli del medioevo, Milano 1981, p. 148.
20 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 38. L'idea dell'edificio sacro come centro del mondo, della città sacra, Gerusalemme o Roma, con l'analogo significato di ombelico (omphalos) del mondo, è ricorrente nella cristianità antica. Questo aspetto è stato largamente trattato da M. ELIADE, Il sacro e il profano, Torino 1989, pp. 19-47.
21 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 52.
22 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 96.
23 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 150.
24 J. DANIÉLOU, I simboli cristiani primitivi, Roma 1990, pp. 137-148.
25 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 153.
26 S. CIRILLO DI GERUSALEMME, cit. in J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 154.
27 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 154.
28 M. ELIADE, Il sacro e il profano cit. , p. 29. Cfr. anche M.M. DAVY, Scala, in Dizionario dei simboli, Milano 1992, II, pp. 328-334.
29 G. PENCO, Scala in Dizionario di spiritualità, III, Roma 1975, p. 2261.
30 Molti autori spirituali a partire da Giovanni Climaco con la sua Scala Paradisi hanno utilizzato l'immagine della scala come simbolo di ascensione spirituale. Ad esempio Guglielmo di Saint Thierry descrive l'anabathmon dell'anima che, attraverso sette gradi, si innalza fino alla vita celeste, gradi messi in rapporto con le sette porte del cielo. Ildegarda di Bingen e, dopo di lei, Onorio d'Autun e Adamo di Saint-Victor vedono nella croce di Cristo la Scala dei peccatori, ancora chiamata la divina Scala. Cfr. E. BERTAUD-A. RAYEZ, Echelle in Dictionnaire de Spiritualité, IV, Paris 1960, 62-86. G. CHAMPEAUX S. STERCKX, I simboli del medioevo cit., pp.185-187.
31 P. EVDOKIMOV, L'uomo icona di Cristo, Milano 1981, p. 89.
32 P. EVDOKIMOV, L'uomo icona di Cristo, cit. p.89.
33 «Quindi la porta del santuario riassume, anche sotto il profilo simbolico, la natura dell'intero santuario» (T. BURCKHARDT, L'arte sacra in oriente e in occidente, Milano 1990, p.71.).
34 P. EVDOKIMOV, L'uomo icona di Cristo, cit. p.89.
35 J. HANI, Il simbolismo cit., p. 95.
36 Cfr. Ml 4,2. L'attribuzione del titolo di sole a Cristo è ricorrente nella tradizione. Cfr. anche la profezia di Zaccaria in Lc 1,78-79.
37 T. BURCKHARDT, L'arte sacra cit., p.74.
38 P. EVDOKIMOV, L'uomo cit., p.96.
39 Cit in J. HANI, Il simbolismo cit., p.103.
40 J. HANI, Il simbolismo cit., p.83.
41 J. HANI, Il simbolismo cit., p.88.
42 DIONIGI PSEUDO-AREOPAGITA, Gerarchia ecclesiastica, II,3
43 TERTULLIANO, Trattato sul battesimo III, 5.
44 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su Giovanni XXV, 2. Anche Dionigi Areopagita afferma che l'immersione nell'acqua «viene intesa propriamente secondo l'immagine della morte e della sepoltura invisibile». (Dionigi Areopagita, Gerarchia cit. , p. 164).
45 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 75.
46 J. HANI, Il simbolismo cit., p. 76.
47 J. HANI, Il simbolismo cit., p. 77.
48 J. HANI, Il simbolismo cit. , p. 76.
49 J. HANI, Il simbolismo cit., p. 78.
50 Cit. in J. HANI, Il simbolismo cit., p. 80.
51 J. HANI, Il simbolismo cit., p. 81.
52 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 113.
53 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 113.
54 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , p. 50.
55 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 119.
56 «Che significa il nome nell'esistenza dell'uomo? Spesso aiuta a comprendere la vita informarsi circa quanto le usanze, ma anche la stregoneria e la magia, dicano su una cosa» (R. GUARDINI, Accettare se stessi, Brescia 1992, p. 56).
57 R. GUARDINI, Accettare se stessi cit., p.57.
58 R. GUARDINI, Accettare se stessi cit., p. 58.
59 R. GUARDINI, Accettare se stessi cit., p. 57.
60 R. GUARDINI, Accettare se stessi cit., p. 62.
61 R. GUARDINI, Accettare se stessi cit., p. 63.
62 R. GUARDINI, Accettare se stessi cit., p. 63.
63 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 118.
64 R. GUARDINI, Accettare se stessi cit. , p. 65.
65 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 119.
66 «...in nessun ambito la profanazione della parola, lo svuotamento dell'agire, la vanificazione del segno è così terribile quanto nella vita religiosa» (R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 121).
67 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 122.
68 R. GUARDINI, Preghiera e verità, Brescia 1973, p. 105.
69 R.GUARDINI, I santi segni cit. , p. 122.
70 R.GUARDINI, I santi segni cit. , p. 121.
71 Si tratta dei titoli dei singoli capitoli; cfr. Indice R. GUARDINI, I santi segni cit. , pp. 206-207.
72 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 143.
73 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 144.
74 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 144.
75 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 144.
76 R. GUARDINI, I santi segni cit., p.148.
77 R. GUARDINI, I santi segni cit., p.149.
78 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 155.
79 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 155.
80 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , p. 56.
81 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 156.
82 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 155.
83 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , p. 57.
84 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 156.
85 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 191.
86 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , p. 59.
87 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit., p. 48.
88 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 189.
89 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 189.
90 R. GUARDINI, L'opera d'arte, Brescia 1998, p. 43.
91 R. GUARDINI, L'opera d'arte, Brescia 1998, p. 43.
92 R. GUARDINI, I santi segni cit. , p. 190.
93 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , p. 51.
94 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit., p. 54.
95 R. GUARDINI, Il senso della Chiesa, Brescia 1961, p. 37
96 R. GUARDINI, Formazione liturgica cit. , p. 47.
97 R. GUARDINI, I santi segni cit., p, 193.
98 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 196.
99 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 197.
100 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 199.
101 R. GUARDINI, L'opera d'arte cit., p. 41.
102 R. GUARDINI, I santi segni cit., p. 123. 15
103 Per compilare la presente nota mi sono servito essenzialmente di M. MORELLATO, Ho creduto perciò ho parlato in Romano Guardini e la visione cristiana del mondo, Padova 1989; C. DOTOLO, Romano Guardini in Storia della Teologia, a cura di R. Fisichella, III, Bologna 1996, pp.717-733. All'interno della vasta produzione di Guardini ho creduto opportuno ricordare soltanto le opere che mi sono sembrate utili a mostrare il suo percorso intellettuale, specialmente in relazione con il contenuto del mio lavoro.
104 R. GUARDINI, Appunti per un'autobiografia, Brescia 1995, p. 91.
NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
Romano Guardini nacque a Verona il 17 febbraio 1885103. All'età di un anno fu portato a Magonza, dove il padre era commerciante e console italiano, e rimase in Germania per tutta la vita, anche quando la sua famiglia, nel 1915, tornò in Italia. La sua formazione culturale fu quindi essenzialmente tedesca, anche se nei suoi studi e interessi si trovano chiare tracce dell'origine italiana. Il periodo degli studi universitari fu segnato da una certa indecisione. Guardini cominciò a studiare fisica e in seguito economia, ma queste materie tecniche e analitiche non erano adatte ai suoi interessi. Fu in questo periodo che il desiderio di un'autentica esperienza religiosa irruppe nella sua vita. Guardini veniva da un'educazione religiosa molto formale, di routine, che non aveva lasciato alcun segno nella sua vita quotidiana. Fu una frase del Vangelo di Matteo -« chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà » (Mt 16, 25)- a segnare la svolta nella sua vita religiosa. La riscoperta della fede coincise, quasi contemporaneamente, con la vocazione sacerdotale e fu la soluzione pacificante della sua ricerca esistenziale. Nel 1906, durante una messa in un convento domenicano, percepì in modo chiaro la sua vocazione: « e fu allora come se tutto divenisse sereno e chiaro, e andai a casa con un sentimento di felicità che non avevo provato da molto tempo »104 . La decisione per la vita sacerdotale rasserenò Guardini, ma non la sua famiglia presso la quale incontrò una ferma opposizione. Fu ordinato sacerdote a Magonza nel 1910, si laureò in teologia a Friburgo nel 1915. Durante gli studi fu sempre impegnato in un'intensa attività all'interno del mondo giovanile cattolico e partecipò al fiorire del movimento liturgico. Le sue prime opere, Lo spirito della liturgia (1918), Il senso della Chiesa (1922) e I santi segni (1922) risentono pienamente del suo impegno. Dalla sua esperienza trasse la convinzione che la teologia dovesse essere una riflessione attenta all'uomo storico concreto e intimamente animata dall'esperienza personale. Nel 1923 Guardini ottenne la cattedra di filosofia della religione e di Katholische Weltanschauung all'Università di Berlino. L'ambiente in cui insegnava influì certamente sulla sua eccezionale apertura mentale; a quel tempo infatti una parte dei docenti dell'Università di Berlino era profondamente laica, e l'altra di dichiarata confessione protestante. Il suo successo fu sicuramente maggiore tra il pubblico che affollava le lezioni, che negli ambienti accademici in cui dominava il metodo storico-critico avversato da Guardini. Tra le ragioni del suo successo ci fu sicuramente la straordinaria chiarezza di linguaggio; la semplicità con cui esponeva è ben ravvisabile negli scritti ed è pari alla profondità del suo pensiero. Le sue lezioni non erano tanto un'esposizione sistematica di verità dogmatiche bene ordinate, quanto piuttosto un'indagine concreta del misterioso mondo spirituale e dell'incontro dell'uomo con Dio. Usava condurre questa indagine anche a partire da grandi autori come Dostojewskij, Pascal, Rilke e da antichi filosofi come Socrate, e su questi autori scrisse alcune delle sue opere. Particolarmente interessanti sono i suoi Studi su Dante, attraverso i quali fa penetrare il lettore nel variegato mondo degli spiriti e degli angeli cui è dedicata larga parte del saggio pubblicato nel 1951. Nel 1925 pubblicò L'opposizione polare che rappresenta il fulcro del suo pensiero filosofico. Secondo Guardini la realtà si compone di polarità opposte che la permeano tutta e la strutturano, fin nell'intimità stessa dell'uomo in cui si constata la continua tensione fra poli opposti. La struttura polare della realtà coinvolge necessariamente il metodo di indagine che non può essere esclusivamente razionale, ma deve coinvolgere l'intuizione vitale. Fra le attività che fiancheggiarono l'impegno accademico la principale fu quella svolta nel castello di Rothenfels sul Meno, che divenne un vero simbolo per la gioventù a lui contemporanea. Vi si riunivano gli aderenti al movimento Quickborn (Sorgente viva) di cui ben presto Guardini divenne leader e dal 1927 direttore e responsabile. Si trattava di un movimento che cercava di dare senso e idealità ai giovani tedeschi per mezzo di un cammino ascetico e spirituale, in un periodo di decadenza anche in ambiente religioso. Nel castello si praticavano esperienze di vita, di autoeducazione, esperienze artistiche e di vita comunitaria. In questo ambiente Guardini elaborò le esperienze liturgiche che confluirono nelle novità accolte dal Vaticano II. Per la profondità del suo insegnamento e le sue capacità di trascinatore, meritò l'appellativo di maestro di Germania. Nel 1939 fu costretto al silenzio dal regime nazista con la soppressione della sua cattedra. Ritornò all'insegnamento solo alla fine della guerra, prima nell'Università di Tubinga dal 1948 al 1951, poi in quella di Monaco fino al 1963, quando gli succederà K. Rahner. Prima di trasferirsi a Monaco compose La fine dell'epoca moderna (1950) e Il potere (1952), opere in cui espresse il suo punto di vista sull'ateismo moderno e la crescente secolarizzazione della società. Nel 1961 fu nominato membro della Commissione liturgica preparatoria del Concilio Vaticano II. Paolo VI gli propose il cardinalato, ma Guardini rifiutò decisamente l'onore. Morì la sera del 1 ottobre 1968 all'età di 82 anni.
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Fonte: Guidalberto Bormolini Rivista di ascetica e mistica, 3 (2004) 481-511.
Note biografiche sull'autore al sito https://guidalbertobormolini.it
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